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Rivoluzione al pronto soccorso, cambiano i codici del triage da colore a numerici, resta il problema del numero d’accessi

Rivoluzione al pronto soccorso, cambiano i codici del triage da colore a numerici, resta il problema del numero d’accessi

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A cura della Redazione

 

Ormai dal 2013 si cercava di mettere ordine alle linee guida di gestione del Pronto soccorso ospedaliero, specchio di una società che cambia con nuovi bisogni assistenziali collegati alla sempre più frequente cronicizzazione delle malattie, all’invecchiamento della popolazione e alle risorse sempre più limitate in contrapposizione all’affollamento delle sale d’attesa. Fin dal 2016 era pronta la bozza di trasformazione da codici colorati in codici numerici utilizzati per ‘filtrare’ i pazienti al momento del Triage. Dopo una lunga campagna di comunicazione orientata a far percepire all’utenza che la strutturazione in codici delle prestazioni di pronto soccorso non rappresenta un aspetto punitivo, ma piuttosto un importante strumento organizzativo, i nuovi codici sono stati sperimentati in diverse regioni italiane.

Dopo Toscana, Friuli Venezia Giulia e Abruzzo il Lazio sarà operativo dal 2019 l’utilizzo della suddivisione in cinque codici numerici, su scala decrescente per gravità (1-2-3 a intensità di cura medio-alta e 4-5 a intensità di cura medio-bassa) dei casi afferenti al Pronto Soccorso.

I codici colore Rosso, Giallo, Verde e Bianco saranno convertiti nei codici numerici: 1 Emergenza, 2 Urgenza, 3 Urgenza differibile, 4 Urgenza minore e 5 Non urgenza.

Il sistema ha preso spunto dall’osservazione che al codice “verde” afferiscono circa il 70% degli accessi al PS. In questa importante fascia però possono annidarsi pazienti a rischio che spesso determinano situazioni tali da rappresentare terreno fertile per errori medici e conseguenziali problemi medico-legali sia per le strutture che per i professionisti secondari ad una cattiva valutazione del livello di priorità alla visita medica. L’importanza di questo problema va contestualizzata nella situazione che oggi si è venuta a creare nei Dipartimenti di Emergenza e Urgenza. Questi infatti assicurano annualmente 24 milioni di prestazioni l’anno: in pratica una al secondo. Il fatto che tre su quattro si sono concluse senza ricovero significa che in molte il problema è stato risolto presso il Pronto Soccorso e in moltissime non ci sarebbe stato bisogno del Pronto Soccorso. Ma per fare bene ciò sono necessari tempo e risorse.

In alcune realtà territoriali, come il Piemonte, per migliorare l’appropriatezza degli accessi, fin dal 1997, sono stati sottoscritti accordi tra Regione e Sindacati attraverso i quali Medici di Famiglia o di Continuità Assistenziale, in locali attigui al Pronto Soccorso, gestiscono gli accessi classificati non urgenti ma con risultati statisticamente non risolutivi rispetto alle attese.

L’accordo piemontese è stato recentemente rivisitato, ancora non deliberato, ma sembra che in un prossimo futuro, proprio perché l’esperienza non si è rivelata risolutiva, si spera di spostare sul territorio gli Ambulatori delle non urgenze in strutture come UCCP o AFT, per intercettare i bisogni di salute del Cittadino evitando che si rivolga al Pronto Soccorso per i codici di minore gravità.