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Disagio mentale: gli italiani sono sempre più depressi

Disagio mentale: gli italiani sono sempre più depressi

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Sono stati presentati i dati del Focus sul disagio mentale prodotti dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, che opera all’interno di Vithali, spin off dell’Università Cattolica presso il campus di Roma, alla vigilia della Giornata mondiale per la salute mentale.

Donne, ma anche anziani, soprattutto al Centro-Sud e nelle isole sono le vittime del disagio mentale, un problema sempre più in crescita nel nostro Paese. Tra i problemi più diffusi c’è la depressione e in Italia almeno 2,8 milioni di over 15 presentano sintomi depressivi, 1,3 milioni dei quali con sintomi del disturbo depressivo maggiore.

La depressione aumenta con l’età: la prevalenza è pari al 2,2% nella fascia 15-44 anni e sale al 19,5% tra gli ultra 75enni. Inoltre le donne sono più colpite, e tra le over 75 anni quasi una donna su quattro soffre di sintomi depressivi (23%) a fronte del 14,2% tra gli uomini. In generale le pazienti con un disturbo depressivo sono quasi il doppio degli uomini anche tra gli utenti dei servizi specialistici per la salute mentale.

E i sintomi depressivi più gravi sono particolarmente elevati sopra i 75 anni. Guardando alla Penisola, i disturbi depressivi sono più presenti tra i residenti nelle regioni centrali e meridionali, in particolare in Umbria (9,5%) e Sardegna (7,3%), con dati significativamente superiori a Trentino-Alto Adige (2,8%) e Lombardia (4,3%). Il “male di vivere” colpisce le persone più vulnerabili sul fronte socio-economico, e i divari territoriali osservati permangono anche a parità di livello di istruzione e condizione economica, a conferma dello svantaggio delle regioni del Centro-Sud ed Isole rispetto alle aree del Nord. Il 25,4% delle persone adulte con questi problemi soffre di limitazioni importanti nello svolgimento delle attività quotidiane. I disturbi che impattano di più sono il calo di concentrazione (57,4%) e la minore resa (57,7%).

Le persone che ne soffrono hanno la tendenza verso comportamenti poco salutari: il 28,3% fuma abitualmente contro il 20,6% tra coloro che non presentano tale patologia. Inoltre si segnala un rischio più elevato di lesioni in incidenti domestici: il 4,1% contro l’1,1% nel resto della popolazione. Difficile assicurare continuità sul lavoro: nel 2015 il 48,6% degli occupati con questo tipo di disturbi ha fatto almeno 1 giorno di assenza, il 18,7% in più del resto della popolazione. Tra gli occupati con depressione o ansia cronica grave il numero medio di giorni di assenza dal lavoro è più che triplo (18 giorni) rispetto al totale degli occupati (5 giorni).

Non stupisce che le persone affette da depressione e ansia cronica grave facciano ricorso più frequentemente alle cure dei medici di medicina generale e degli specialisti. Durante l’anno, oltre il 93% si rivolge almeno una volta al dottore di famiglia contro circa l’86% degli altri malati cronici; mentre va dallo specialista circa il 75,2% delle persone con depressione e ansia grave contro il 64,2% delle persone con altre patologie croniche. Ogni anno circa 800 mila utenti si rivolgono ai Dipartimenti di salute mentale e, secondo le stime pubblicate dal ministero della Salute, nel 2016 la spesa sostenuta per l’assistenza sanitaria territoriale psichiatrica ammonta a 3,6 miliardi di euro, con una incidenza sulla spesa sanitaria pubblica totale pari al 3,2%. Si sono spesi in media 71 euro per ogni residente di età >18 anni, e se la regione che alloca la quota più bassa di risorse è la Basilicata, la PA di Trento è quella che destina la quota più elevata (pari a 145 euro pro capite).

“Il Ssn ha di fronte una nuova sfida con la quale misurarsi – ha affermato il professor Walter Ricciardi, ordinario di Igiene Generale e Applicata all’università Cattolica e direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni Italiane – e tra le possibili strategie di intervento sicuramente va annoverato il rafforzamento dell’assistenza primaria e dei rapporti ospedale-territorio. Sarà necessaria anche una maggiore integrazione tra servizi sanitari e sociali, insieme ad una migliore differenziazione dell’offerta sulla base dei bisogni dei pazienti, riducendo i troppi letti in residenze e comunità (diventate in gran parte cronicari), spostando i fondi verso i servizi di comunità (sostegno all’abitare, piccoli gruppi di convivenza) e aiutando le persone a restare nel proprio ambiente di vita”.

“Oltre alle attività di cura e assistenza – ha spiegato il dottor Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane – sarà importante attivare delle azioni efficaci nell’ambito della prevenzione primaria della depressione, per esempio attraverso progetti di intervento nelle scuole volti all’individuazione dei soggetti a rischio su cui effettuare un intervento precoce e attraverso un’attenzione particolare alle fasce di popolazione più anziane, che come abbiamo visto sono le più a rischio, con programmi finalizzati a incrementare l’attività fisica e ridurre l’isolamento sociale per limitare il rischio di depressione nella fase avanzata della vita”.

(Fonte: il Messaggero.it)