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Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Finis”

Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Finis”

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di Filippo Cavallaro

L’attittadora elogia le virtù del defunto, anche quelle che non ha mai avuto, incrociando in quella stessa veglia Tzia Bonaria, protagonista del romanzo di Maria Murgia “Accabadora” (Einaudi 2009). Lei, in una Sardegna ormai presente solo nella memoria, dopo aver eliminato tutto ciò che può trattenere l’agonizzante in questa terra, lo aiuta a lasciarla. 

L’altra protagonista è la piccola Maria che nell’incipit ci spiega un’altra usanza della ricca tradizione sarda. Il “fillus de anima” bambino che nasceva due volte, da due madri, una donna povera ed una donna sterile, la prima gli dà la vita, la seconda lo cresce. 

Un romanzo questo che parla di sofferenza e morte, ma anche di bambini ed amori. 

Tante sofferenze narrate, ma tante, anche, le modalità educative di quanto serve per crescere culturalmente grazie alla scuola, di come crescere ed irrobustire fisicamente con le tante attività motorie, di come crescere nelle abilità che trasmettono usi e costumi, di come radicarsi per acquisire una identità. 

Tante persone arrivano a superare i novanta ed anche i cento anni, hanno un corpo forte che li ha portati a raggiungere tanti traguardi e superare tante difficoltà. Hanno curato il proprio corpo tenendolo attivo, hanno curato la propria persona restando impegnati. Hanno, a questo punto, un corpo che racconta tutto, un corpo dove le varie strutture sono consunte, logorate dal prolungato uso. Mi insegnò Antonini, ormai nei lontani anni settanta, che le strutture del corpo, gli organi, hanno un funzionamento, che per essere tutto efficiente richiede un lungo sviluppo ed un efficace addestramento, poi dopo un periodo di massima efficienza comincia a decadere smettendo lentamente di funzionare. 

Per rendere vivaci le giornate degli anziani, da un punto di vista riabilitativo, è importante tenerli attivi, con azioni che richiedano sempre l’impegno mentale, con la presenza delle persone più care e più vicine. Purtroppo ormai sempre più raramente queste sono i parenti, fortunatamente ci sono i congiunti, grazie ai dpcm oggi sappiamo come nominarli, ci sono gli amici, e quanti vengono incontrati nella giornata e ritmano i momenti vitali, dal barbiere al giornalaio, dal fornaio al macellaio, dal barista al garzone. 

Un passaggio nel romanzo della Murgia mi ha colpito: 

“La vecchia provò ad articolare qualche parola, e lei si fece più vicina per coglierne il senso. Alla guancia, come una carezza incerta. Le arrivò un fiato lieve, ma nessuna parola chiara. Provò a cercare nei suoi occhi il senso di quel respiro, ma nell’istante stesso incontrò lo sguardo della vecchia, si pentì di aver voluto capire.” 

Oggi vedo sempre più corpi inerti, che, a chi li assiste, accudisce, raccontano tutto il loro vissuto, prigionieri in sé, che corrono sempre più il rischio di restarne prigionieri a lungo nel momento in cui, il malinteso interessamento del parente estraneo, indirizzano al massimo intervento sanitario.