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Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Lavanda”

Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Lavanda”

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di Filippo Cavallaro

Avevo promesso alle donne del dragon boat di Palermo che mi sarei onorato di citarle per il grande impegno, e che le avrei affiancate ad una grande scrittrice siciliana, impegnata anche nel campo della disabilità, per la sua opera ormai di più di dieci anni fa dal titolo “La monaca”. 

Si tratta di un’opera su una grande famiglia siciliana, i Padellani di Opiri, a cui Simonetta Agnello Hornby dà risalto, per le difficoltà economiche che la pressano, e che portano a dover indirizzare alla vita ecclesiastica molti dei giovani figli. 

Protagonista del romanzo è Agata Padellani che entrerà nel convento di San Giorgio Stilita, la cui madre badessa è Donna Maria Crocifissa, sorella del padre di Agata, Don Peppino Padellani, maresciallo dell’esercito borbonico, già gentiluomo di camera del re Ferdinando I. 

Le dragonesse delle Aquile rosa si allenano alla Cala a Palermo, ospiti del Circolo Nautico, ed accedono all’attività di canottaggio con il dragon boat attraverso la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori – LILT. 

In LILT è offerto, tra gli altri, un servizio di fisioterapia e riabilitazione post-operatoria delle donne mastectomizzate, dove per il mantenimento degli obiettivi raggiunti con la fisioterapia, la collega Rosanna Grotta indirizza al canottaggio con la pagaia del dragon boat, secondo l’ottica biopsicosociale.  

In acqua, si declina un percorso di riabilitazione psico-fisica che, se da una parte completa il recupero funzionale favorendo il drenaggio del braccio, dall’altra permette di superare in gruppo le difficoltà di riappropriazione del corpo, con la pratica di un’attività sportiva. Così si crea un’armonia, che apporta benefici sul piano fisico, emozionale, sociale, familiare e spirituale 

Agata all’ingresso in convento, scopre una realtà diversa rispetto a come l’aveva ipotizzata. La clausura non porta le suore ad una condizione egualitaria, oltre quelle porte continuano ad esserci le differenze di classe sociale. 

Scopre che il rispetto verso la Badessa è assoluto e che il convento è pieno di spazi dedicati alle piante, molte officinali, le altre spesso profumate. L’orto è curato dalle serve che accompagnano le suore di nobile casato. L’orto dei semplici, a servizio della farmacia, veniva gestito dalla “monaca infirmaria”, che svolgeva tanti ruoli sanitari dal farmacologo al medico, dallo speziale all’infermiere. Donna Maria Immacolata era la infirmaria ed era la conversa di Donna Maria Crocefissa, ed era assistita nella gestione da un’altra conversa. 

Dalla frequentazione della infirmaria, Agata scopre che malgrado si obbedisca “la regola”, che indirizza al raccoglimento ed alla preghiera e non alle pratiche di umiliazione della carne, ancora molte suore usano il cilicio. Scopre così che il compito di chi sta in infermeria è di curare le ferite, anche quelle autoinflitte, senza porre domande. 

Scopre che ogni giorno viene preparato per la badessa un sacchetto di lavanda. 

Poi la salute della badessa era peggiorata, ed un pomeriggio del gennaio 1847, precipita. Agata viene chiamata al capezzale e quando si china a baciare la zia, un forte odore di marcio misto a lavanda le inondò le narici. Donna Maria Crocifissa sudava, ansimava, cercava impotente di liberarsi dalle vesti. Il fetore veniva dal seno destro in cancrena per un tumore purulento schiacciato e nascosto sotto bende e cuscinetti di lavanda

Le suore già studiate dal grande Bernardino Ramazzini nel “De morbis artificum diatriba” alla fine del XVII secolo, che dopo aver declinato l’esposizione di cinquantadue categorie professionali inserì un capitolo circa la maniera di conservare in salute le sacre vergini. Le suore che cercavano di vincere almeno il cattivo odore del male purulento con fiori ed essenze profumate, e che con canti e musiche si immergevano nella preghiera ed in serene pratiche che procurando un rilassamento riducevano l’ansia ed il dolore.