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“Dalla culla alla culla”: un principio di sostenibilità

“Dalla culla alla culla”: un principio di sostenibilità

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di Rosaria Costa*

Si stima che la popolazione mondiale raggiungerà i nove miliardi di individui entro il 2050, a fronte di un incremento del 480% già verificatosi dal 1900 ad oggi. Una tale previsione si pone in maniera inequivocabile come la più grande sfida che l’intera umanità dovrà affrontare, mantenendo la salvaguardia del pianeta quale ineludibile punto fermo. Il conseguente
aumento del fabbisogno alimentare avrà come effetto un inasprimento delle attuali condizioni di agonia in cui versa l’ambiente terrestre. Con l’avvento della Rivoluzione Industriale, databile intorno alla seconda metà del 1800, l’uomo ha letteralmente avviato un processo di fagocitosi della Terra, animato dall’ossessiva ricerca di uno stile di vita fondato su criteri di
eccesso, egoismo e prevaricazione. Respiriamo, mangiamo, eliminiamo: siamo dei sistemi chimici aperti che scambiano con l’esterno, e assieme ad esso siamo parte dell’Universo. Tutto ciò di cui, presuntuosamente, supponiamo di disfarci, torna a noi sotto forma di alimenti, di aria e di acqua.
Ritardanti di fiamma, metaboliti di farmaci (interferenti endocrini), idrocarburi policiclici aromatici, petrolati (nanoplastiche nei pesci), metalli pesanti, filtri solari, sono solo alcune categorie di inquinanti dispersi nelle acque superficiali, ahimè non più limitatamente alle aree urbane. La stessa composizione dell’aria è stata drasticamente modificata a partire dal XVIII secolo, con un notevole incremento delle concentrazioni di anidride carbonica e metano (noti gas serra) nell’atmosfera, nonché di alogeni, agenti causali del buco nello strato di ozono.


Tra gli effetti antropici più eclatanti, divenuti ormai un “hot topic” della quotidianità sociale, si annoverano la scomparsa delle foreste tropicali, la riduzione della biodiversità, lo sfruttamento intensivo delle acque dolci e delle risorse ittiche, l’uso di azoto fertilizzante in quantità superiori a quello naturalmente fissato in tutti gli ecosistemi terrestri, la già citata immissione in atmosfera di ingenti quantità di gas serra, con una conseguente crisi climatica globale difficile da arginare.


In un tale scenario, caratterizzato da fragilità e dal depauperamento delle risorse, da qualche decennio si sono affermati nuovi concetti di scienze ambientali, tutti confluenti nell’unico e preminente principio della sostenibilità. Già sul finire degli anni ’80 veniva definito sostenibile “quello sviluppo che soddisfa le necessità del presente senza compromettere le possibilità delle future generazioni di soddisfare i loro bisogni” (ONU, 1987). Da qui la consapevolezza sempre più diffusa della nostra responsabilità in quanto detentori della macchina produttiva, che lavora in maniera incessante per trasformare le materie prime strappate indiscriminatamente alla natura in prodotti, in buona parte non più ritenuti beni primari, ovvero essenziali per la nostra vita. Ed ecco che un altro concetto come il “Life Cycle Assessment” (LCA) si impone con vigore e senza possibilità di essere sottaciuto. La cosiddetta “valutazione del ciclo di vita” di un prodotto obbliga i produttori a stimare i costi di produzione in termini di spesa energetica e di benefici/utilità da essa derivanti prima di avviare il processo. Tra i vari aspetti valutati nella LCA vi è la possibilità di riciclare il prodotto quando avrà
raggiunto il fine vita, recuperandolo in parte o per intero, addirittura dandogli nuova vita sotto la stessa o in altra forma/funzione. È questo il significato intrinseco del principio “Dalla culla alla culla”.
Nonostante la chimica venga incriminata come la principale responsabile del degrado planetario, da questa scienza provengono numerose applicazioni tendenti a sanare il danno ambientale, causato in massima parte dai processi produttivi dell’industria. E a svolgere questa attività di tutela dell’ambiente e dei suoi viventi è la chimica “di verde vestita”, la cosiddetta “Green Chemistry”, la cui finalità è proprio quella di minimizzare l’impatto che i processi chimici hanno sia sull’ambiente che sulle generazioni future. Fra i principi “verdi” si annoverano: la riduzione o eliminazione totale dei solventi; la produzione di sostanze chimiche ad elevata efficacia e bassa tossicità; l’uso di materia prima rinnovabile; lo sviluppo di protocolli che riducano la produzione di materiale di scarto.

È nel rispetto di questi principi che il nostro dipartimento si è adoperato per sviluppare una serie di metodiche ed applicazioni green, rivolte, ad esempio, al recupero di materiali di scarto dei processi produttivi agroalimentari. Attraverso una tecnica di estrazione che non fa uso di solventi, denominata SPME, in combinazione con tecniche cromatografiche di ultima generazione, è stato possibile caratterizzare la composizione chimica di un prodotto di scarto della lavorazione agrumaria: la cera di limone.1 Questo scarto, ottenuto per deposizione in seguito a processi di winterizzazione (refrigerazione dell’olio essenziale), rappresenta
una frazione abbondante, ricca di polifenoli, carotenoidi, limonene, vitamine, fibre (Figura 1).

I risultati dello studio incoraggiano l’utilizzo delle cere agrumarie in ambito cosmetico ed alimentare. In un altro studio, le acque di scarto
dei processi di crioconcentrazione del mosto destinato alla vinificazione sono state analizzate con tecniche di spettrometria di massa e tecniche cromatografiche, nonché sottoposte a valutazione dell’attività antiossidante.2 La ricca serie di dati ricavata (contenuto in polifenoli, microelementi, aroma, acidi grassi, proprietà chimico-fisiche) suggerisce l’impiego di questo sottoprodotto quale acqua vegetale aromatizzante, sia in ambito culinario che cosmetico/farmaceutico. Sempre nell’ottica del riutilizzo dei materiali scartati dall’industria alimentare, il nostro gruppo di ricerca si è occupato di
sviluppare una formulazione antiossidante dalle cuticole e dai gusci delle arachidi.3
In considerazione dell’elevata importanza che il mercato delle arachidi riveste a livello mondiale, si è pensato di valorizzare questi scarti derivanti dal processamento delle arachidi (Figura 2) e di riutilizzarli quali additivi negli stessi prodotti da banco a base di arachidi (snack bars). È utile ricordare che, solo nel 2019, le quantità stimate di gusci e cuticole scartate dalla produzione globale di arachidi ammontavano rispettivamente a 9 e 1 milione di tonnellate. Sempre il nostro gruppo di ricerca ha enfatizzato, attraverso un lavoro di review, i benefici nutrizionali di un altro


sottoprodotto della lavorazione degli agrumi: l’olio di semi di limone.4 Si tratta di un olio estratto a freddo che trova largo impiego nei paesi del bacino mediorientale. Anche se numerosi suoi costituenti vengono classificati come molecole nutraceutiche, il carattere amaro di quest’olio ne riduce la palatabilità, e dunque la diffusione nei paesi occidentali. È interessante notare come negli anni passati, in molti casi gli scarti agroalimentari siano stati prevalentemente riprocessati per il loro impiego nella nutrizione degli animali da allevamento. Purtroppo, però, spesso queste procedure, se analizzate alla luce della LCA, non risultano sostenibili né in termini di spesa energetica, necessaria per la riconversione a nuovo prodotto (per esempio mangimi in pellet), né in termini di emissioni di processo. Per concludere questa breve panoramica su alcune delle innumerevoli possibilità offerte dalla chimica verde a sostegno di un modello di vita a basso impatto ambientale, è bene considerare che nonostante la sensibilità collettiva si sia negli ultimi anni orientata verso queste tematiche, la sostenibilità di certo non può essere semplicemente intesa come recupero degli scarti di processo. Tanto ancora bisogna lavorare, soprattutto investendo in progetti di educazione ambientale e di divulgazione delle buone
pratiche, per esempio partendo dalla comprensione che la tecnologia ad esclusivo servizio dell’uomo non giovi né a questo né all’ambiente.


Riferimenti

  1. R. Costa, A. Albergamo, S. Arrigo, F. Gentile, G. Dugo. Solid-phase microextraction-gas chromatography and ultra-high performance liquid chromatography applied to the characterization of lemon wax, a waste product from citrus industry. Journal of Chromatography A, 1603 (2019) 262–268.
  2. A. Albergamo, R. Costa, G. Bartolomeo, R. Rando, R. Vadalà, V. Nava, T. Gervasi, G. Toscano, M.P. Germanò, V. DʼAngelo, F. Ditta, G. Dugo. Grape water: reclaim and valorization of a by-product from the industrial cryoconcentration of grape (Vitis vinifera) must. Journal of the Science of Food and Agriculture, 100 (2020) 2971–2981.
  3. A. Albergamo, A. Salvo, S. Carabetta, S. Arrigo, R. Di Sanzo, R. Costa, G. Dugo, M. Russo. Development of an antioxidant formula based on peanut by-products and effects on sensory properties and aroma stability of fortified peanut snacks during storage. Journal of the Science of Food and Agriculture, 101 (2021) 638-647.
  4. A. Albergamo, R. Costa, G. Dugo. (2020). Cold pressed lemon (Citrus limon) seed oil. In: Cold pressed oils – Green Technology, Bioactive Compounds, Functionality, and Applications (ed. Mohamed Fawzy Ramadan). Academic Press: Cambridge, pp. 159-180.

In allegato: Dalla_culla_alla_culla_.pdf

*Professore Associato di Chimica Analitica presso il Dipartimento BIOMORF di UniME
costar@unime.it
https://www.unime.it/it/persona/rosaria-costa