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Questioni di lingua: trentaquattresimo appuntamento

Questioni di lingua: trentaquattresimo appuntamento

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di Carmelo Micalizzi

IL NOME GIAMPILIERI.

 MITOLOGEMA DI UN SASSO

(seconda parte)

Nel sistema stradale impiantato in Sicilia dai romani Messina faceva riferimento alla via Valeria che la congiungeva a Lilibeo, la stessa ricordata da Strabone (Geografia, VI, 2, 1) costruita o soltanto riparata dal console Valerio Levino che ebbe l’imperium dell’isola tra il 210 e il 208 a.C., e alla via Pompea menzionata nelle Verrine di Marco Tullio Cicerone31, sul cui percorso ancora si discute, dato che non vi è certezza alcuna che coincida con la già ricordata via Valeria oppure, come i più tendono a credere, con l’altra via collegante Messina a Siracusa32. La ricostruzione della rete viaria romana della Sicilia, attraverso lo studio dei reperti e delle sopravvivenze posteriori che assecondano il metodo suggerito da G.M. Columba33 e condiviso da B. Pace34, ha trovato largo impiego nei più recenti studi di G. Uggeri35 e di G.P. Verbrugghe36, tra i maggiori specialisti sul tema. 

In accordo con tali letture si avanza l’ipotesi che la ‘pietra’ di Cala San Paolo, particolare segno del geomorfismo di quel litorale antistante la chiesuola settecentesca dedicata al Santo, possa avere avuto la funzione di cippo miliare sulla strada costiera tra Messana e Catana, indicante la distanza dalla città del Peloro di dieci miglia romane, cioè diecimila passi doppi, ricordando che un passo doppio equivale a 1.4815 metri. La stele appare in gran parte levigata e, come si diceva, scheggiata in corrispondenza del vertice sul fronte della strada forse in corrispondenza di una possibile iscrizione riportante il numero delle milia passuum. Che questa pietra sia collocata in una marina che è memoria dello sbarco di San Paolo alla puntuale distanza di dieci miglia da Messina è ricordato dallo storico benedettino Domenico Gaspare Lancia di Brolo37

La tradizione vuole ancora che S. Paolo navigando da Siracusa a Reggio si fosse soffermato nella spiaggia tra Taormina e Messina, un dieci miglia da questa sotto il colle oggi detto di S. Placido ov’è una chiesetta a lui dedicata in memoria del fatto; e veramente S. Luca dicendo che navigavano da Siracusa a Reggio costeggiando e, come da difficile navigazione, da spiaggia a spiaggia conferma piuttosto questa tradizione; oltrechè si congettura dovesse fermarvisi per attendere il vento e la corrente opportuna a valicare lo stretto pericoloso.

Lo spazio di dieci miglia indicato dal Lancia di Brolo corrisponde alla misura di 14.815 metri dal limite meridionale della città romana ovvero dal torrente Portalegni, l’attuale percorso della via Tommaso Cannizzaro coincidente con le due grandi Porte a sud della città anche in epoca medioevale e rinascimentale: la Porta Imperiale e la Porta della Giudecca. Ė questa la stessa distanza già indicata dall’abate Vito Amico che rileva lo spazio di sette miglia dalla città a quel torrente Briga-Pezzolo che scorre a pochi metri dal cippo. L’Amico fa tuttavia riferimento sia al perimetro urbano meridionale della città che non è più quello d’epoca romana ma, dal 1671, determinato dalla Porta Zaera, un miglio più a sud del torrente S. Filippo il piccolo-Portalegni, sia alla misura del miglio italiano che equivale a 1.856 metri. In tale computo le otto miglia italiane corrispondono alla distanza di 14.848 metri (1.856 metri x 8 miglia) che ricalcano giusto la misura di quei 14.815 metri (1.4815 metri x 10 miglia) delle dieci miglia romane.

Seguendo verso meridione da Porta Imperiale il percorso del Dromo anche oggi in massima parte comparabile al percorso classico, pure annotando la presenza di alcuni brevi ponti, moderne alternative agli antichi guadi delle fiumare, il percorso registra la lunghezza di 14.830 metri che ben corrispondono – ammesso un errore di computo dello 0,1% (14,8 metri) – ai 14.815 metri, le dieci miglia romane.

Tornando al tema iniziale dell’etimologia di “Giampilieri”, si è legata la definizione “mitologema di un sasso”, poiché è evidente come l’accennato sasso, nell’assunto ontologico che gli compete, identifichi un nucleo mitostorico emblematico di quei simbolismi radicati, tra storia e leggenda, nelle vicende scritte di Messina, nelle sue tradizioni orali e nella strutturazione onomastica – per quanto qui ci riguarda – con la dimostrata semantica di “luogo del pilastro di pietra”. Nella metanalisi di una lettura antropologica, il carisma e la simbologia del pilastro di pietra, peculiarità geomorfica della Cala di San Paolo sacralizzata dall’uso che ne avrebbe fatto il Santo, esprimono relazioni con le comparate simbologie dell’albero e della colonna che identificano l’asse speciale di quel particolare spazio38.  Il tema del sasso può essere pertanto così declinato:   

  1. Ha la funzione di un cippo miliare o, comunque, di un segno della puntuale distanza di diecimila passi a sud dalla Messina romana. Costituirebbe pertanto una rarissima testimonianza sulla viabilità siciliana di quell’epoca39, coincidente con la “statio Sancti Pauli”, la “marina di San Paolo”40, quella “cala di San Paolo”, sinus maris ubi naves discendere possint nel lessico del protopapa Giuseppe Vinci41, documentato maritimum locum come evidenzia, ad esempio, il ritrovamento in quei fondali, ancora in buona parte da esplorare, di alcuni reperti di archeologia subacquea d’epoca romana: un carico di ceramiche da fuoco, terraglie da cucina, nelle acque di Briga marina; un’ancora di pietra basaltica del bacino dell’Alcantara davanti Galati marina e un ceppo d’ancora con due delfini davanti Mili marina42. Pertanto un’antica statio, approdo – anche stagionale e precario – uno scalo, caricatoio, forse con i supporti, consueti nel sistema viario romano, di mansiones per la dispensa di alloggio e cibo e di mutationes per il cambio dei cavalli, abitualmente dislocati a distanze più o meno regolari lungo le strade pubbliche: nella logica, venendo da meridione, dell’attraversamento dello Stretto ben prima di giungere a Messina, una statio marina anche a servire le necessità dell’antico monastero benedettino di san Placido Calonerò e dell’attiguo borgo collinare.                                                                                                                                    
  2. Il sasso è inserito nella stratificata tradizione locale dello sbarco e della predicazione di San Paolo.  Una Passio apocrifa dei Santi Pietro e Paolo, databile al IX secolo, pubblicata nella Biblioteca Hagiographica Latina43, narra del viaggio dell’apostolo Paolo da Malta a Roma, della sua sosta a Messina e della consacrazione del presbitero Bacchilo primo vescovo della città. Nel 1615 il gesuita Ottavio Gaetani, padre dell’agiografia siciliana, compendia, nella prima edizione della Isagoge ad Historiam Sacram siculam, l’antica tradizione della presenza di San Paolo a Messina44, già illustrata dallo storico Giuseppe Bonfiglio tanto nella Historia45 quanto nella Messina e poi dal gesuita Placido Samperi nella prestigiosa Iconologia. Il Bonfiglio, che pubblica Messina Città Nobilissima nel 1606, precisa:        

[…] si comprende, che non da S. Luca altro ricavar si può che la generalità, non havend’egli scritta tutta la peregrinatione di S. Paolo, che testificandoloci Hieronimo il Santo sopra del capitolo secondo dell’epistola scritta a’ Galati. Et à chiarezza del prenarrato, si vede in piedi la Chiesa fabbricata in honore di questo Santo alla marina di sotto il Monistero di S. Placido de’ Padri Benedittini molto antica e da loro posseduta con le molte entrate ch’ella hà […]46.

Placido Samperi accenna – siamo nel 1644 – alla

[…] Chiesa di S. Paolo, eretta dagli antichi Messinesi ala marina, sotto il Monasterio di S. Placido, in memoria della venuta del S. Apostolo in Messina di cui è constantissima fama che fosse smontato quivi […]. E fu in tale veneratione negli antichi tempi questa Chiesa per la memoria di S. Paolo, che da’ Vescovi, fù con le solenni cerimonie consacrata, come appare, per lo vestigio delle signate Croci nel muro.

Di seguito il gesuita ricorda poi la tradizione dello sbarco del Santo e la singolare prerogativa    di questa spiaggia

[…] nella quale non vi è memoria, che nelle tempeste habbia legno alcuno fatto naufragio, o si sia, per qualche accidente in quelle acque affogato alcuno sempre amene, sempre feconde, e piscose in modo che i pescatori, per la moltitudine degli ottimi pesci che traggono da questo seno, la Cala di San Paolo, fin dagli antichi secoli la chiamano47.

In questo brano il dotto gesuita ribadisce le meraviglie e i “prodigi” della marina felix di Briga. Le baie e gli altri luoghi comunque connessi con il viaggio di Paolo di Tarso verso Roma appaiono invero, di frequente, legati con il culto di acque miracolose48: è così infatti per la fonte della baia di San Paolo a Malta e, in Sicilia, per molti pozzi del territorio di Noto, Siracusa, Solarino, Modica, Ispica e Avola ricordati dall’abate netino Rocco Pirri nella Sicilia Sacra49. Ė infatti antica tradizione che le falde d’acqua e le vene sorgive presso gli approdi dell’apostolo siano taumaturgiche. Hanno il potere di sanare il corpo e di fugare le malattie anche in relazione all’arcaica concezione della sacralità delle acque che donano salute fisica e spirituale e che compendiano l’ontologia salvifica del fonte battesimale anch’esso legato alla guarigione fisica e alla rigenerazione del corpo per chi quelle acque beve o vi s’immerge. Tali credenze popolari e i correlati culti religiosi hanno le proprie radici nella natura di quei territori aridi perché carenti di percorsi fluviali di superficie e scarsi di pioggia per ragioni climatiche. In tale contesto non può tuttavia inserirsi l’irrigua contrada di Briga marina, il borgo strutturatosi intorno alla Cala di San Paolo, attraversata dal corso d’acqua di Calonerò il fiume della buona, bella e abbondante acqua di cui con il Camilliani si è già ricordata pure l’antica cospicua portata estiva.

Sono a tutt’oggi presenti presso la chiesuola settecentesca dedicata al santo, anche se oramai poco o mal utilizzati, alcuni pozzi che rivelano la presenza di vene d’acqua a pochi metri dalla spiaggia. Ad essi non è possibile tuttavia ricondurre alcuna memoria taumaturgica. La tradizione riferita dal Samperi assume pertanto, nella struttura della pia tradizione, l’accezione di compensazione della mancanza di fonti portentose mutuate con la descrizione della meravigliosa Cala di San Paolo e dei prodigi di quella marina dove non vi è memoria di naufragio o che vi sia affogato alcuno, acque pertanto, come in una favola, sempre amene, sempre feconde e piscose.   

  •  Il sasso è citato dall’erudito arabo Edrisi nel Kiàtab nuzhāt âI muśtâq […], Lo svago di chi brama attraversare le regioni, più noto come il Libro di Ruggero, ultimato nel gennaio 1154 e pubblicato dallo storico Michele Amari nella Biblioteca Arabo-Sicula50 con la trascrizione del geografo mussulmano che descrive, nel percorso litoraneo tra ád Darģat áș șaģirah, la Scala piccola (Scaletta) e Śant Ĭșţafīn (Santo Stefano Briga), la presenza di un luogo indicato con il nome di ağar abī Halīfah, il “Sasso di Abi Halifah”, dove Halifah sarebbe nome proprio di persona oppure indicherebbe le locuzioni alleanza, patto, unificazione, identificato dall’Amari con la località “Giampilieri”. La stesura del Libro di Ruggero, la più importante opera di geografia generale dell’intero medioevo, si avvalse dei manoscritti di dodici geografi posseduti dallo stesso Ruggero II nella biblioteca della reggia di Palermo. Dieci di loro sono arabi e, tra questi soltanto sei sono noti51; l’undicesimo è il greco Tolomeo, il dodicesimo è il latino Orosio. Alla compilazione del testo, protrattasi per oltre un quindicennio, partecipò una schiera di collaboratori coordinata dallo stesso Edrisi che vi riversò tutti i propri appunti di viaggio. Particolare cura è attribuita alla geografia della Sicilia le cui coste furono rivisitate e puntualmente descritte in senso antiorario a partire da Palermo. Si coglie pertanto l’attendibilità della citazione del nome di luogo Hağar abī Halīfah, il “Sasso di Halifah”, e si rileva che, nella strutturazione del toponimo “Giampilieri”, mentre l’attributo onomastico Abi Halifah è da collocare in quell’arco di tempo pertinente alla dominazione mussulmana dell’isola, ovvero tra il IX e XI secolo, l’indicazione oronimica del Sasso è invece più antica e, in tale senso, solo ereditata dalla toponomastica araba.
  • Il sasso reitera in quella contrada la memoria e lo stratificato riscontro onomastico dell’apostolo Paolo. L’ospedale dei lebbrosi di San Paolo, ad esempio, S. Pauli infirmorum, che ha determinato il nome della vicina contrada Malati, è citato in documenti del XIII secolo52. La fiumara di Pezzolo-Briga è indicata nella carta geografica dell’isola pubblicata nel 1578 dall’ingegnere militare Tiburzio Spannocchi come flumen di S.to Paulo53. Camillo Camilliani descrive nel 1584 la punta arenosa et istesa in mare che chiama Panza di S.to Paulo54, il promontorio di S. Paolo. Il gesuita Giovanni Andrea Massa, nel 1709, nella sua Sicilia in Prospettiva annota:   

[…] Il Monte di S. Paolo, nome restatovi in memoria del S. Apostolo di cui predica la fama di essere sbarcato in questo luogo […]. Il Lito che gli giace nelle falde dicesi Marina di S. Paolo, e vi è la Chiesa dedicata al suddetto Santo. In questi contorni si vede uno Scoglio in mare appellato la pietra del Maltese e discosta in modo dal lito, che fra questo e quella tragittano le feluche55.

Il singolare riferimento allo scoglio chiamato la Pietra del Maltese, tuttora visibile e che ha determinato il nome della contrada “Scoglio”, può strutturare un’indicazione toponomastica popolare convergente alla “Pietra di San Paolo” forse definito, nella tradizione popolare Maltese perché legato al lungo soggiorno a Malta, non dimenticando altresì le tracce dei Cavalieri di Malta nelle valli di Giampilieri, di Briga-Pezzolo e di San Placido Calonerò. Ė infatti rilevabile come la presenza di questo potente ordine cavalleresco, con sede a Malta e già in quell’isola profondamente legato alla tradizione, al culto e alla storiografia paolina, abbia dato nella marina di Briga risonanza al culto dell’apostolo Paolo di Tarso. L’abate palermitano Michele Pasqualino, nel 1775, annota nel suo prestigioso vocabolario alla voce “Cala di S. Paulu”56

[…] luogo tra Messina e Taormina, statio di S. Pauli, così detto per avervi una volta sbarcato S. Paolo, come s’ha per tradizione57

  • Il sasso, infine, quello stesso che la memoria popolare indica come il “masso di San Paolo”, nella sua accezione ontologica e onomastica comparata ad altre similari toponimie ribadisce, come spiegato da Giovan Battista Caracausi che legge nel toponimo “Giampilieri” una velata tautologia, il significato di pilastro-di-pietra che in questa scheda si è voluta riconoscere in una stele, una sorta di  colonna con funzione di “segna passi”, a diecimila passi doppi a sud di Messina, possibile cippo miliare d’epoca romana. 

Carmelo Micalizzi

NOTE

31 M.T. CICERONE, 2 Verrine, 5, 66, 169: “[…] cum Mamertini more atque istituto suo crucem fixissent post urbem in via Pompeia, te iubere in ea parte figere quae ad fretum spectaret”.

32 L. DI PAOLA, Le vie di comunicazione in Strade …, cit., p. 191

33 G.M. COLUMBA, I porti antichi della Sicilia, Roma 1906, p. 18 ss.

34 B. PACE, Navigazione e viabilità, Città di Castello 1958, p. 462 ss.

35 G. UGGERI, Il sistema viario romano in Sicilia e le sopravvivenze medioevali in La Sicilia rupestre nel contesto delle civiltà mediterranee, Atti del VI «Convegno di studio sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia», Catania-Pantalica-Ispica 7-12 1981, Galatina 1986, p. 85 ss.

36 G.P. VERBRUGGHE, Sicilia in «Itinera Romana», Berna 1976

37 D.G. LANCIA DI BROLO, Storia della Chiesa in Sicilia, Palermo 1880, vol. I, p. 34

38 J. CHEVALIER-A. GHERBRANT, Dizionario dei simboli, Milano 1995, vol. II, p. 223

39 A. DI VITA, Un miliario del 252 a. C. e l’antica via Agrigento-Panormo in «Kokalos», I, 1955; IDEM, Una recente nota e la datazione del miliario siciliano del console Aurelio Cotta in «Latomus», 22, 1963, p. 478 ss.; A. DE GRASSI, Scritti vari di Antichità, 3, Venezia-Trieste 1967, p. 195 ss.

40 Nauticard n° 1017.2, Siracusa-Milazzo-Gioia Tauro- Reggio Calabria, Scala 1: 250.000, elaborata dalla Carta Nautica n° 918 dell’Istituto Idrografico della Marina, 1972. Vi si rileva il toponimo S. Paolo con la prospiciente linea batimetrica che indica, in quel fondale sabbioso, la profondità di 14 metri, tra le minime del litorale ionico     

41 G. VINCI, Etymologicum Siculum, Messina 1759, p. 51

42 G.M. BACCI, Archeologia subacquea sul versante siciliano dello Stretto di Messina, un percorso archeologico attraverso gli scavi a cura di G.M. Bacci – G. Tigano, Messina 2001, vol. II, p. 273; M.C. LENTINI, Briga Marina, in Da Zancle…, cit., p. 299 

43 Biblioteca Hagiographica Latina antiquae et mediae aetatis, Bruxelles 1898-1901, coll. 6657-6692

44 O. GAETANI, Isagoge…, cit., pp. 166-172

45 G. BUONFIGLIO, Dell’Historia Siciliana, Venezia 1604, lib. I, p.53

46 IDEM, Messina Città Nobilissima, (Venezia 1606), Messina 1738, lib. 8, p.115

47 P. SAMPERI, Iconologia…, cit, p. 282

48 B. MONTINARO, San Paolo dei serpenti, Palermo 1996, p. 27

49 R. PIRRO, Sicilia Sacra, tomo II, Not. II, Palermo 1611, p. 589

50 M. AMARI, Storia dei Mussulmani di Sicilia, edizione a cura di N.A. Nallino, Catania 1939, vol. III, parte II, p. 460; IDEM, Biblioteca arabo-sicula…, cit.,   vol. I, p. 127

51 M. AMARI, Storia…, cit., vol. III, parte III, p. 669

52 D. CICCARELLI, Il Tabulario di S. Maria Malfinò, Messina 1986, vol. I (1093-1302), p. 250: atto dato in Messina il 30 luglio 1294

53 T. SPANNOCCHI, Carta geografica della Sicilia manoscritta e colorata, elaborata nel 1596 da un rilievo del 1578, tratta da Siciliae Opulenti Regni. Una cum suis adiacentibus insulis […]. Il lavoro di Tiburzio Spannocchi, trattandosi di un manoscritto di carattere militare, non ebbe una adeguata diffusione presso i geografi dell’epoca.   

54 M. SCARLATA, L’opera …, cit., pp. 340-341

55 G. A. MASSA, Della Sicilia in Prospettiva, parte II, cioè Le città, Terre, e Luoghi esistenti e non esistenti in Sicilia, la topografia Litorale, li Scogli, Isole, e Penisole intorno ad essa, Palermo 1709, p. 404

56 M. PASQUALINO, Vocabolario Siciliano Etimologico Italiano e Latino, Palermo 1775, p. 228,

57 A proposito di “marina” e di “cala San Paolo”, nel 1535, Carlo V, avendo trascorso la notte presso il monastero di San Placido incontrò quattrocento, tra nobili e cavalieri messinesi nella “Marina di San Paolo”, come annota Giuseppe Buonfiglio (Messina…, cit., p. 84): “[…] pervenne nel famoso e nobile Monisterio di S. Placido detto di Calonerò della Relig. di S. Ben., otto miglia distante da Messina, e quivi riposato solo una notte, la mattina discese alla marina e nel prendere il cammino verso la Città fu incontrato da quattrocento tra Nobili e onorati cittadini”.   

Carmelo Micalizzi

C. MICALIZZI, Il nome Giampilieri. Mitologema di un sasso in “I Pilieri”. Quartiere I° a cura di G. Molonia-N. Principato, Messina 2003, pp. 145-174;

C. MICALIZZI, La leggenda di Giovanni Pilieri Cavaliere di Malta e proprietario di un mulino in Frammenti e Memorie dell’Ordine di Malta nel Valdemone a cura di C. Ciolino, Messina 2008, pp. 393-401.

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