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Carlino Mezzolitro, l’ambulante e il giudice

Carlino Mezzolitro, l’ambulante e il giudice

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di Francesco Certo

Disegno di Giovanna Certo

Quel giorno Carlino Mezzolitro arrivò in una città chiamata Povertà.

Le strade sporche, le baracche, le macchine vecchie e con le marmitte

sfondate, il mare, sebbene azzurro, non bastava a rincuorare la gente.

Era appena l’alba.

Carlino vide uscire da una di queste favelas un uomo giovane e grasso,

dall’aria simpatica, gioviale, il suo nome era Dino, si, Dino perché tutti lo chiamavano

così.

Salì su una vecchia ape arrugginita dagli anni e dalla miseria, e Carlino con

un balzo salì sul piccolo cassone senza che lui se ne accorgesse.

Arrivarono al mercato della frutta. Tanta gente, tanti odori, tanti colori.

Dino comprò la frutta da uno di quelli che contavano e sapevano.

-Attento, stai attento, oggi, parlano di controlli.-

Dino annuì e con Mezzolitro, cavaliere invisibile, andò sul lungo viale, fermò

l’ape.

Un chilo di pere, mezz’anguria, le arance andò così via una buona

parte della mattinata.

Ma, d’un tratto il cielo di Povertà, quasi sempre sereno, si fece nuvolo e tenebroso:

arrivarono le guardie.

Sguardo severo, senza pietà, con il codice civile come unico amico iniziarono a enunciare i troppi

reati che Dino aveva commesso, si perché Dino era povero e anche abusivo.

La più feroce di loro: Ora ti sequestriamo tutto, e vai via, straccione!

Dino era un bravuomo, ma al pensiero di una famiglia che non avrebbe mangiato,

di suo figlio che non avrebbe fatto la logopedia esplose. Un pugno in faccia alla

guardia, tanto sangue.

Il codice civile divenne penale.

Carlino Mezzolitro decise di non lasciarlo più.

Furono i giorni, in cui la moglie andavano alla mensa dei poveri per sfamare la famiglia.

Dino andò da un avvocato, da uno scarso, messo lì per fare perdere le cause alla povera gente.

  • Ma sig, Dino, spaccare la faccia a un vigile, e poi lo sa chi è il giudice? Nientepopodimeno che

Uomoduro! Che Dio ci aiuti! Si prepari a una  condanna esemplare!

Arrivò il giorno del giudizio, Dino tremava, Carlino di più.

Entrò la corte, e Uomoduro, barba bianca e colta, piccoli occhi, voce rauca.

C’era poco da discutere, i fatti erano chiari, l’avvocato impacciato dalla personalità

del giudice era di fatto muto. Tutto procedeva come previsto.

Un testimone: Sig Giudice, l’ha chiamato straccione!

Uomoduro chiese conferma alla guardia che pavidamente annuì.

Carlino bevve il mezzolitro, i suoi occhi si fecero più belli e guardò

il giudice mentre entrava in camera di consiglio.

Tonò la corte in aula per la sentenza.

Uomoduro lesse.

-In nome del popolo italiano visti gli articoli bla bla bla

condanno il sig. Dino al minimo della pena, un giorno di galera

(domiciliare).

L’avvocato era felice, lui aveva vinto la causa, Dino piangeva di

gioia, Carlino con lui.

Il giudice, finito il processo, andò via e uscendo incontrò l’abusivo,

lo fermò.

– Venga, venga qui. Ho visto nelle carte che ha un figlio che non sta bene.

– Si, ha un ritardo, quattro anni, parla poco…

– Questo è il numero di mia figlia, gli farà la logopedia, è brava, no, non pagherà nulla.

Dino andò per baciarli le mani.

– Eccellenza!

– Macché eccellenza, piuttosto da dopodomani sei libero, dove vai a lavorare?

-A Piazza Mazzini, mi hanno che là, per ora non fanno controlli.

Ci vediamo, dopo che finisco, ho bisogno di due zucchine per mio nipote!

Gliele faccio trovare, le più bellissime delle zucchine, grazie Eccellenza!!!

Dicono che Uomoduro quella notte dormì bene, meglio del solito.

Carlino Mezzolitro felice, andò per una nuova avventura.