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Covid….una sofferenza che continua

Covid….una sofferenza che continua

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di Antonino Arcoraci

Da 2 anni viviamo l’incubo dell’infezione da coronavirus SARS COVID-19. Qualcuno si è contagiato, qualcuno ha sofferto la malattia, qualcuno ha perso la vita. Siamo in un continuo stato di disagio e resta sempre vivo in noi, il ricordo del lockdown. Paventiamo la necessità di doverlo ripetere perché, malgrado siano continue e martellanti le richieste di rispettare le regole, queste, continuamente, da molti, sono disattese.

     I mass media tengono l’argomento in prima pagina, lo aggiornano in continuazione; i social network: Internet, Facebook, instagram, wantsapp lo portano entro ogni casa con le riflessioni, le ansie, pure con le deformazioni che spesso lo fanno diventare Fake news.

     Per il Governo, il coronavirus continua ad essere argomento di tutti i giorni; la normativa e la prassi di riferimento, fatta di leggi e moltissimi decreti, viene aggiornata di continuo.

     Non mancano le polemiche: i no vax intendono imporre la loro idea, scendono in piazza; qualche corrente politica li asseconda.

     Anche se in questi ultimi mesi, le corde sono state allentate per motivi economici, per pressioni politiche, siamo sempre in emergenza sanitaria. Lo dice l’Oms, lo riconosce l’Europa, lo continuano a ripetere gli esperti, lo dimostrano i numeri in crescita. Assistiamo al lento, ma costante aumento dei nuovi casi di Covid in questa IV ondata e viviamo le ansie e le paure nella quotidianità. Ognuno di noi ricorda il periodo della “chiusura”, alcuni sentono le sofferenze della malattia e dei suoi effetti devastanti. Tutti abbiamo presenti i momenti difficili, la paura procurata dallo stress, la depressione del tono dell’umore, le limitazioni delle abitudini personali anche in assenza della malattia, la debilitazione dello stato fisico connesso alla riduzione della mobilità. Ci sono mancate le riunioni, gli incontri con gli amici. I giovani sono stati costretti a restare al chiuso, gli anziani sono stati obbligati a modificare le loro abitudini. E tutti ci ricordiamo quanto è stato bello il senso di liberazione il giorno in cui ci è stato possibile uscire di casa, pure costretti a portare la mascherina.

     Siamo arrivati ai due anni dall’inizio della malattia, siamo passati più volte da una fascia all’altra e, anche se l’estate ci ha reso più liberi, l’aumento dei contagiati detta le sue condizioni e porta al ritorno delle restrizioni governative.

     C’è stato solo il leggero spostamento dai più anziani, molti vaccinati anche con la terza dose, ai più giovani, perché numericamente meno vaccinati. I positivi, i contagiati, i ricoverati in rianimazione sono quasi tutti non vaccinati.

     Non abbiamo raggiunto l’immunità di “gregge” e ci troviamo con molti renitenti, no vax, no masch che si rifiutano. Tanti prima positivi, tanti reduci dalla malattia non rispettano le norme.

     E il virus impera, “muta”, infetta come prima, non fa sconti, non ha limiti di età o di genere….non ha confini.

     I numeri restano giudici dello stato di diffusione del contagio; ci dimostrano che non siamo usciti dalla condizione pandemica, che non siamo liberi e immuni anche con la terza dose; che il pericolo è sempre presente e che la pandemia durerà ancora – a dire degli esperti – per almeno un anno.

     Dobbiamo essere ubbidienti, dobbiamo restare vigili perché anche chi è guarito dalla malattia, può reinfettarsi. Dobbiamo farcene una ragione, accettare i consigli, metterli in pratica, adattarci a questa “nuova normalità”. Il virus è diffuso in quasi tutto il pianeta. Noi stessi, involontariamente ne siamo i vettori. Dobbiamo capire che l’unico mezzo per restare immuni, è prevenire, igienizzare, proteggere. Lo dobbiamo fare per noi e anche per gli altri. Dobbiamo rispettare le norme igieniche, la mascherina; capire e fare capire che vaccinare è l’unico modo per aumentare la resistenza alla infezione, anche per coloro che hanno avuto il contagio e sono guariti. Lo ha ribadito il G20 del 30 ottobre, programmando la vaccinazione per tutti, in tutti i paesi del mondo!!

        Bisogna aiutare a far capire chi ancora insiste a non volere essere vaccinato, che, allo stato attuale, il vaccino è l’unico mezzo che garantisce, anche se non in maniera assoluta.  Che vaccinarsi è un dovere per sé e per gli altri. Bisogna imporre, se il caso, la vaccinazione a chi è renitente. Perché, se è vero che la costituzione gli garantisce il suo diritto di scelta, la stessa costituzione gli impone di non danneggiare gli altri.  

        Non è facile convincere, anche per la “overdose comunicativa” che talvolta ha creato e crea, sfiducia e confusione; che ha dato e continua a dare, “infor­mazioni contrastanti”.  Pure la scienza non ha mostrato il rigore metodologico: a volte ha diffuso indicazioni su cui sono stati fatti ri­pensamenti e correzioni, da molti percepiti come fallimento.

        Per Nicola Magrini direttore generale dell’AIFA è urgente e neces­sario sviluppare sistemi istituzionali e competenze organizzative a livello locale, nazionale e globale al fine di identificare, monitorare e indirizzare proattivamente l’esitazione vaccina­le… Magari facendosi aiutare da un robot parlante (chatbot) che bat­te l’esitanza, che parlando con le persone incerte ne sposta il punto di vista. Lo consiglia un team di scienziati cognitivi dell’Institut Jean-Nicod (CNRS / ENS-PSL) e del laborio di Neurosciences Cognitives et Computationnelles (INSERM / ENS-PSL), che hanno dimostrato che la reticenza al vaccino difficilmente si batte con messaggi spot su radio e TV, ma “faccia a faccia”, con una persona di fiducia o con lo chatbot che risponde a 51 domande sul vaccino; che, dopo una chiacchierata di pochi minuti, ha convinto il 37% dei dissidenti.

     Bisogna fare resilienza del nostro recente passato, tesoro della sofferenza, anche se vissuta in maniera diversa da ognuno di noi. Avere memoria e lanciare il monito.

     La FEDERSPeV, associazione fatta di medici, farmacisti e veterinari e non solo, ha raccolto in un volume quanto gli associati hanno sentito di scrivere nel primo anno di questo periodo di pandemia. Lo hanno fatto per Raccontarsi e raccontare il quotidiano, descrivere la sofferenza, la solitudine, la mancanza dei gesti d’affetto, il coraggio e l’eroismo di chi è vissuto in trincea o tra le mura di casa dove il tempo sembrava scorrere più lentamente.

     Il librosi è dimostrato un messaggio di vita vissuta, un consiglio, che aiuta, chi l’ha scritto e chi lo legge, a capire che le regole giovano, anche se dure. Che uniti e rispettosi possiamo continuare a combattere, a resistere e…. alla fine, “ce la faremo”!