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La dieta eccessivamente povera di sale può peggiorare gli esiti di una forma comune di insufficienza cardiaca

La dieta eccessivamente povera di sale può peggiorare gli esiti di una forma comune di insufficienza cardiaca

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Una delle componenti chiave del trattamento dell’insufficienza cardiaca è sicuramente rappresentata dalla limitazione dell’assunzione di sale. Una ricerca pubblicata online sulla rivista Heart (https://heart.bmj.com/content/early/2022/06/07/heartjnl-2022-321167) fa notare che l’eccessiva restrizione di sale potrebbe effettivamente peggiorare i risultati per le persone con una forma comune della condizione. Inoltre i più giovani e quelli di etnia nera e di altre etnie sembrano essere i più a rischio, indicano i risultati.
Le linee guida per l’insufficienza cardiaca raccomandano una restrizione del sale da meno di 1,5 g a meno di 3 g al giorno. Ma l’effetto di tale restrizione, sui pazienti con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata che rappresenta la metà di tutti i casi di insufficienza cardiaca, non sono chiari poiché sono stati spesso esclusi da studi pertinenti.

Sono stati analizzati i dati di 1713 persone di età pari o superiore a 50 anni con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata che facevano parte dello studio TOPCAT, uno studio di fase III, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, progettato per scoprire se il farmaco spironolattone potesse trattare efficacemente l’insufficienza cardiaca sintomatica con frazione di eiezione preservata. Il follow-up è stato di 3 anni
Circa la metà dei partecipanti (816) presentava un’assunzione di sale da cucina pari a zero: più della metà erano uomini (56%) e la maggior parte erano di etnia bianca (81%), prevalentemente erano sovrappeso e avevano una pressione diastolica inferiore (70 mm Hg). Questi presentavano una incidenza di ricovero ospedaliero per insufficienza cardiaca maggiore che si correlava ad una maggiore incidenza di diabete di tipo 2, ad una funzione renale ridotta,
La mortalità, indipendentemente dalla causa era sovrapponibile, ma non avevano meno probabilità di morire per qualsiasi causa o per malattie cardiovascolari rispetto a quelli il cui punteggio di sale da cucina era zero.
Quelli di età pari o inferiore a 70 anni avevano una probabilità significativamente maggiore di trarre beneficio dall’aggiunta di sale alla loro cucina rispetto a quelli di età superiore a 70 anni in termini di endpoint primario e ricovero in ospedale per insufficienza cardiaca.

Una minore assunzione di sodio è solitamente associata a una pressione sanguigna più bassa e a un ridotto rischio di malattie cardiovascolari nel pubblico in generale e in quelli con pressione alta. Si pensa che riduca la ritenzione di liquidi e l’attivazione degli ormoni coinvolti nella regolazione della pressione sanguigna.
La limitazione dell’assunzione di sale per controllare l’insufficienza cardiaca è meno semplice. Può indurre la contrazione del volume intravascolare e sembrerebbe che il volume di plasma nel sangue, un indicatore di congestione, non sia significativamente associato alla quantità di sale da cucina assunto con la dieta. La sua eccessiva restrizione potrebbe danneggiare i pazienti con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata, associandosi ad una prognosi peggiore.