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di Aldo Di Blasi
Nella sentenza della Cassazione relativa all’uccisione di Lorena Quaranta da parte del compagno convivente, appare inquietante e anche assai pericolosa, la scappatoia,per evitare l’ergastolo,che sembra dare la Corte a chi commette femminicidi, ammettendo pretestuose circostanze attenuanti e declassando il femminicidio, non riconoscendo l’esistenza di “una matrice legata al genere” nel delitto.
Appare oltremodo forzato e poco realistico l’attribuire alla pandemia, alle restrizioni alla vita di relazione, alla forte preoccupazione di essere contagiato dall’infezione respiratoria contratta dalla compagna, alla condizione di marcata concitazione emotiva, manifestata con inquietudine, irrequietezza e atteggiamento frenetico e poco razionale, il tragico sviluppo della vicenda.
L’attacco di distruttiva brutale violenza nei confronti della ragazza pare invece compiuta con efferata lucidità, utilizzando le nozioni professionali infermieristiche e la forza bruta maschile. Sembra, in parte, una replica del femminicidio di Giulia Cecchettin, provocato da invidia, gelosia e frustrazione, senso di inadeguatezza e inferiorità per la futura carriera della giovane. Non può essersi trattato di un raptus, ma di un atto premeditato, a seguito probabilmente della persistente sensazione angosciante di non essere all’altezza, di essere un gradino inferiore nella relazione con la compagna, laureanda in Medicina. Non si spiegherebbe il comportamento dell’uomo che, circa un’ora prima del delitto, ha inviato messaggi ai parenti, chiedendo loro di prelevare dal suo conto corrente il denaro depositato e dividerlo tra i nipoti. Evidentemente intendeva porre fine anche ai suoi giorni, con tentativi però non riusciti. Probabilmente i Giudici della Corte di Cassazione avranno meditato poco su tutti i particolari della vicenda.
A mio parere, e non solo a mio parere, il “profondo stato di disagio psicologico, che ha generato ansia ed angoscia” rientra nella categoria degli “stati emotivi” che, ai sensi dell’art.90 cod.pen., non escludono né diminuiscono l’imputabilità. Secondo una consulente psichiatra, nel processo in corte d’Assise, le modalità particolarmente cruente e violente dell’uccisione “disegnano i contorni di una condotta efferata, fonte di non comune sgomento e che, sul piano soggettivo, delineano una allarmante determinazione e pervicacia dell’imputato”. A giudizio del perito nominato dalla Corte di assise, l’uomo “ha palesato, nelle ore immediatamente precedenti al delitto, una condizione emotiva di severa ansia, evoluta in angoscia, che, però, non ha assunto una dimensione francamente psichiatrica e non ha, quindi, scemato né, tantomeno, escluso la sua capacità di intendere e di volere”. Il perito di parte ha invece formulato una diagnosi di “disturbo psicotico breve” , che pare sia stata apprezzata e condivisa dai Giudici della Suprema Corte.
“Il disturbo psicotico breve è raro. Disturbi di personalità preesistenti (p. es., paranoide, istrionico, narcisistico, schizotipico, borderline) come anche alcune condizioni cliniche (p. es., lupus sistemico, ingestione di steroidi) predispongono alla sua insorgenza. Un evento stressante importante, come la perdita di una persona amata, può scatenare il disturbo.” (Manuale MSD).
Però dagli atti del processo non è emerso, a quanto pare, alcun disturbo di personalità preesistente, né condizioni cliniche predisponenti.
Secondo la norma dell’art. 42 c.p. la responsabilità penale dell’autore di un reato s’identifica con il possesso della generica capacità di coscienza e volontà. Capacità di coscienza e volontà che, a quanto sembra, l’assassino ha mostrato di avere, prima e dopo il delitto.
Secondo i Giudici della Cassazione , i Giudici di merito non avrebbero compiutamente valutato
se “lo stato di angoscia”,”la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica, con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno” ,” la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale”. Pertanto, per gli “ermellini” deve riconoscersi “l’attitudine della peculiare condizione psicologica a giustificare il contenimento del trattamento sanzionatorio”.
Ma di tutti quelli che abbiamo sofferto le restrizioni durante la pandemia, quanti siamo stati affetti da “disturbo psicotico breve” ? e quanti abbiamo commesso omicidi o atti aggressivi inconsulti? Quante persone che hanno subito prevaricazioni, ingiustizie, minacce, disagi, nonostante abbiano sentito “salire il sangue agli occhi” (‘u sangu all‘occhi), hanno commesso delitti efferati?
A mio parere bisognerebbe rivedere nel nostro codice penale la questione delle imputabilità e delle attenuanti relative a condizioni psichiche, brevi o durature che siano. Peraltro anche le brevi, come descritto in letteratura, possono ripresentarsi, facendo reiterare gli atti illeciti.
Gli omicidi, e i femminicidi in particolare, a mio parere devono avere la giusta punizione. L’unica attenuante potrebbe essere la legittima difesa, ma deve essere ben dimostrata.
Il problema vero però è la nostra società, dove è presente ancora una subcultura che affida alla violenza la risoluzione di controversie e disagi esistenziali e soprattutto, nello specifico, alla violenza sulle donne l’affermazione maschile di un potere fuori tempo, basato su presupposti e convincimenti ancestrali falsi, difficili da estirpare; ma non è impossibile, se si attuano fermamente e seriamente provvedimenti educativi a partire dall’infanzia, per forgiare giovani generazioni solidali, altruisti, comprensivi, rispettosi del prossimo e di se stessi.