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Questioni di lingua: quattordicesimo appuntamento

Questioni di lingua: quattordicesimo appuntamento

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di Carmelo Micalizzi

 

TOPONOMASTICA “STORICA” DI MESSINA
CARDINES

 

CARDINES. Via – da via Garibaldi a via I Settembre.

La via, oggi ridotta a un breve percorso, fu così chiamata in onore di Bernardino Cardines duca di Maqueda, viceré di Sicilia dal 1596 al 1602. In passato costituiva uno degli assi viari più importanti di Messina prendendo origine, come il segmento odierno, dallo slargo absidale della chiesa della SS. Annunziata dei Catalani, conducendosi, se facciamo riferimento all’attuale toponomastica, oltre il viale Tommaso Cannizzaro fino alla via Nicola Fabrizi. L’importante asse viario venne realizzato agli inizi del XVII secolo, nell’ambito di un generale riassetto urbanistico motivato da ragioni di risanamento e assecondato dalle mutate esigenze della città in seguito alla vittoria di Lepanto (1571). La città rinascimentale fu infatti caratterizzata dall’apertura di due grandi arterie tracciate nel cuore della città storica: la prima dedicata a don Giovanni d’Austria, progettata e realizzata da Andrea Calamech, scultore, architetto e “mastro di strata”, quella che, avendo sventrato l’antica strada Amalfitana Grande, congiungeva il Duomo al Palazzo Reale; la seconda che risistemava nel taglio e nell’ampiezza la strada della Giudecca, ultimata circa un ventennio dopo e che è oggetto di questa scheda, dedicata al viceré Bernardino Cardines. Dopo il sisma del 1783, nel piano del restauro della città affidato agli architetti Andrea Gallo e Gianfrancesco Arena, la via Cardines, fu classificata una delle antiche cinque strade maestre destinate a rappresentare la trama viaria essenziale della ricostruenda città. Ricorda a proposito Nicola Aricò come “La quarta strada, tra le cinque da mantenere, era indubbiamente la più giovane, essendo stata tracciata e realizzata nel secolo precedente. La via Cardines – lunga circa 650 metri – si sviluppava con un’ampiezza di dieci metri quasi costante (vi era qualche flessione fino a sette). Progettata come asse secondario, recava ai propri margini edifici ‘non troppo alti’ peraltro abbondantemente danneggiati”. In seguito al terremoto del 1908, la via Cardines, assecondando le esigenze del nuovo piano regolatore redatto da Luigi Borzì, venne ritracciata un po’ più a monte, mantenendo comunque l’antica denominazione (n. 12, Stradario 1916). Il primo segmento che, non essendo stato soppresso, manteneva l’originario impianto della via, venne chiamato via ex Cardines. Ma subito dopo, con delibera n. 2208 del 28.07.1916, alla nuova via Cardines venne cambiato il nome in via Cesare Battisti, mentre, sempre con la stessa delibera, si ripristinò il nome Cardines alla vecchia via.

Detto questo, derogando dall’aspetto strettamente toponomastico, si vuole brevemente trattare un argomento di notevole risonanza nella tradizione popolare e nella letteratura cittadina: la “Trovatura di via Cardines”.

Nella via, in prossimità del ponte della Giudecca, era murata sulla parete di un palazzo e protetta da una rete metallica una pietra con epigrafe visibile fino al sisma del 1908. Attorno ad essa è fiorita una curiosa leggenda ampiamente trattata dai cultori di memorie messinesi. Si vuole ricordare tale tradizione nelle righe che gli ha dedicato l’antropologo Giuseppe Pitrè, da lui pubblicata nel 1871: “Nella via Cardines vi è un’antica iscrizione, che il popolo crede scritta da un mago in lingua ignota e quindi indecifrabile. Chi passerà quella via sopra un cavallo a gran corsa e tenendo un berretto rosso e la leggerà senza che il cavallo si fermi, prenderà la trovatura nascostavi sotto”. Il reperto lapideo, salvato dalle macerie del 28 dicembre 1908, è stato di recente esposto nella sezione archeologica del Museo Regionale di Messina. Nella didascalia che lo compendia si legge: “Calcare conchiglifero locale; III sec. A. C. (m. 0,50 x 1,25 x 0,45), collocato nell’ex via Cardines, attuale is. 268, plesso universitario”. Per la comprensione del reperto si ritiene valida la lettura fatta dal filologo Teodoro Momsen che la ha ritenuta un’iscrizione in lingua osca proveniente da un tempio di fondazione mamertina dedicato al dio Apollo.

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