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Psicopatologia e coronavirus

Psicopatologia e coronavirus

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di Pasquale Russo

Un’infermiera di Jesolo si è suicidata mentre attendeva i risultati del tampone ma accusava già i sintomi del coronavirus. Era stremata da turni impossibili, notti insonni, ansia per la famiglia, paura. Non c’è l’ha fatta. Non tutti hanno lo stesso grado di resistenza.

E’ anche lei una vittima di questa maledetta pandemia ma anche della stolta politica che ha tagliato ospedali, posti letto, personale.

E’ un chiaro segnale del grande disagio psichico che questo sciagurato evento comporta.

Una pandemia sconosciuta, la più grande sciagura dalla fine della seconda guerra mondiale.

All’inizio stupidamente sottovalutata, è scoppiata in tutta la sua violenza e virulenza.

Il primo sentimento è la paura, l’angoscia di morte. Non conosci il nemico, sai che ti può colpire quando vuole, non sai come puoi difenderti. L’informazione all’inizio è stata confusa, contraddittoria, pareri diversi da autorevoli scienziati. L’incertezza ha aumentato l’ansia.

Arriva poi, improvvisa, l’esplosione. Arrivano le proibizioni, le ordinanze, i media battono e ribattono: state in casa, state in casa. Gli anziani muoiono più facilmente, perché hanno più patologie. Cominciano a morire medici, infermieri, impiegati postali. L’informazione diventa un tam tam continuo, quasi snervante, al limiti del terrorismo psicologico. Si fanno vedere le casse da morto allineate, i malati intubati, le cifre degli infetti crescono esponenzialmente.

Devi abituarti a resettare la tua vita, non uscire, non vedere gli amici, convivere con la solitudine che per chi è già solo significa isolamento totale. La vita si ferma, la città è un deserto, salvano i telefonini ed i computer per un contatto con gli amici. Non puoi vedere i figli, non puoi vedere i nipotini, non puoi uscire con gli amici. Finirà quest’incubo, perché tutto finisce. Non sappiamo quando e come ma finirà.

Come vivremo dopo?

Non abbiamo esperienza di simili tragedie, possiamo avvicinarla al’Ebola, alla Sars,ad altre pandemie. Speriamo non doverla paragonare alla spagnola. Per fortuna, nonostante tutto, le condizioni sanitarie sono altre.

Per quanto ci porteremo dietro il terrore per 37,5 di febbre, per una tosse un po’ Insistente? Per quanto, appreso un condizionamento continueremo a non stringere la mano ed ad evitare abbracci? Per quanto avremo timore di coccolare i nostri nipotini?

Le esperienze traumatiche non si cancellano in un giorno. L’ansia, gli incubi, le paure ci accompagneranno per molto tempo.

Vorrei che questo terribile dramma, simile ad una guerra, insegnasse qualcosa ai politici: sulla salute non si risparmia e non si lucra, assumete il personale che serve, non chiudete gli ospedali, il coronavirus, qualora ce ne fosse bisogno, vi ha dimostrato che la vostra insulsa teoria del malato-cliente, dell’ospedale azienda è una grande cazzata (mi si perdoni il termine). Speriamo di non dover vivere mai più un’esperienza come questa che ci segnerà per sempre.

Se ora l’angoscia di morte, la paura del contagio coprono ogni cosa, dopo i disturbi d’ansia, le crisi di panico, i disturbi post traumatici da stress cresceranno in modo esponenziale e per molto tempo.

E’ bene e doveroso informare ma forse suonare in continuazione campane a morto, squillare ossessivamente le trombe del giudizio non serve. La gente muore, lo sappiamo e tanta, i contagi aumentano, il pericolo è in agguato e non è facile indurre serenità ma il disagio psichico fa star male, molto male e può indurre anche a gesti inconsulti come il rifiuto di chi passeggia o va in vacanza come se nulla fosse o il suicidio di chi è più debole.

Dipenderà dalla capacità di resilienza di ognuno di noi riprendere in mano la propria vita gradualmente, metabolizzare l’odore della morte, la vista dei cadaveri e tornare a vivere, magari meglio di come vivevamo prima, valorizzando gli affetti, il tempo libero, l’amicizia, l’amore, l’abbraccio di un bimbo.