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La sindrome della capanna

La sindrome della capanna

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di Pasquale Russo – neuropsichiatra

Siamo entrati nella cosiddetta fase 2, anche se non si capisce bene cosa significhi. Restano le polemiche, le incertezze, l’esercito di esperti o presunti tali quasi sempre in disaccordo tra loro.

A messaggi tranquillizzanti seguono inviti allarmanti all’attenzione, al possibile ritorno al lockdown.

Uscire non è piacevolissimo: mascherine, guanti, distanziamento ma soprattutto ansia, paura del contagio, difficoltà a ragionare lucidamente tempestati da spinte e notizie contraddittorie. Negozi chiusi, bar in cui non si può entrare, provvedimenti necessari ma non piacevoli.

Possiamo uscire ma, come scrive Claudio Magris sul Corriere, il pensiero dominante sarà fisso sul Covid, sulle sue incertezze, sulle paure, sull’odore acre di morte che aleggiava persino nelle dirette televisive, con le casse funebri allineate ed i cadaveri sui camion per essere cremati altrove.

Inevitabilmente le società scientifiche di psichiatria hanno lanciato l’allarme.

Crescono i disturbi psicopatologici, crescono le sindromi ansiose, le depressioni, i disturbi d’attacco di panico, i suicidi, i femminicidi. La convivenza forzata ha fatto crescere le separazioni che ormai avvengono con procedure on line.

Difficile far superare ai minori la chiusura forzata, la mancanza dei coetanei, i giochi con il gruppo dei pari, anche se i bambini, assai spesso, hanno maggiori capacità di resilienza.

A questa bella compagnia si aggiunge una nuova sindrome: “la sindrome della capanna.” Un neologismo non citato nei manuali diagnostici. Che significa? Nella fase 1 i primi giorni sono stati terribili, poi ci si è adattati. Siamo diventati tutti pasticcieri, panificatori, pizzaioli, e via dicendo.

Abbiamo letto nuovi libri e riletto quelli già letti.

Al momento della parziale libertà, uscire può scatenare ansia. Mascherine, guanti, autocertificazioni varie, distanziamento sociale, ogni persona incrociata può essere un potenziale untore.

Alla fine tornare a casa diventa un sollievo. Ti chiudi, come i cavalieri medievali, nelle torri ed alzi il ponte levatoio, non avvicini nessuno, saluti il condomino a distanza ma ti senti tranquillo. C’è il grosso rischio che s’inneschi un meccanismo di isolamento sociale duraturo. Passate questi primi giorni, mi chiedo: Come sarà l’Estate? Al mare con guanti e mascherine, isolati nel proprio recinto ed il vicino anzi il lontano d’ombrellone visto come un nemico?

Già qualche esperto avverte un consolatorio: “non prenotate le vacanze”.

Resteremo a prendere il sole nel balcone, nel giardinetto, nella terrazza?

In un articolo sul Corriere della Sera Paolo Giordano sottolinea come, di fatto, la scienza non sa e sa di non sapere. Questa condizione anche se espressa sotto traccia, passa come un fiume carsico nelle nostre menti e l’incertezza genera paura e angoscia.

Solo tra le quattro mura di casa ti senti forse protetto.