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Questioni di lingua: ventinovesimo appuntamento

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di Carmelo Micalizzi

TOPONOMASTICA “STORICA” DI MESSINA

CARRUBBARA

Carrubbara è il nome del rione delimitato dalla via Mario Reitano Spatafora, dalla salita Villa Contino e dal viale Europa. È anche il nome della via che, dall’incrocio delle vie Piave, Brenta e Bormida porta al viale Europa. Toponimo di antica origine indicava, fino al sisma del 1908, una vasta area agreste e le prime pendici collinari a sud – est di piazza Zaera oggi segnata dalla rotatoria dedicata a Boris Giorgio Giuliano.

Il nome è un fitonimo dialettale leggibile in alcune cartine topografiche stampate tra XVIII secolo e metà ‘900. Nella città anteriore al 1908 era ancora definito borgo e aveva limiti topografici più ampi di quelli attuali poiché comprendeva le contrade San Clemente e Montesanto, la collina Petrazza, il puntale Ariella, il torrente Baglio e la contrada Palmara fino ai margini del villaggio Santo. Il toponimo prende nome dai secolari alberi di carrubo che lo segnavano, gli ultimi dei quali furono abbattuti, negli anni ’70 del secolo scorso, con la costruzione del complesso residenziale “Messina Due”. 

Carrubbara è citato come “luogo noto” da Placido Samperi (1644) e quindi ben radicato nella toponomastica messinese già nel ‘XVI secolo. Poiché il carrubo può raggiungere l’età di 400, anche 500 anni, è verosimile come quegli alberi (gli stessi che avevano dato il nome alla contrada ai tempi dello storico gesuita) possano essere stati piantati in epoca normanna.  

Vetusto riferimento alla contrada è un documento d’archivio che rimanda all’ultimo scorcio del XVIII secolo, agli anni successivi al terremoto del 1783. Vi si cita il primitivo stato dei luoghi sulla sponda destra del Camaro con i vasti possedimenti del marchese Giacomo Mauro e vi si descrive l’opera di “spetramento” di quei terreni destinati a colture e l’innalzamento di un muraglione (ancora visibile in alcune fotografie dei primi anni del ‘900) a difesa delle piene stagionali della fiumara. La vasta proprietà, che comprendeva innumerevoli filari di vitigni, alberi da frutto e un gelseto, possedeva un vascone per l’irrigazione, una casina e alcune baracche “per uso dei metatieri e per poter nutricare le frondi” (M. C. Calabrese 2007) per l’allevamento del baco da seta.     

La contrada San Clemente seguivaaquella della Zaera, tra le prime pendici di Montesanto e il Dromo: fino al 1908, proseguendo da via Bernardino Cardines e oltrepassando il ponte sulla fiumara Camaro iniziava la via Consolare per Catania. Subito a destra vi era una chiesetta situata nell’angolo nord-est del pio Ospizio per gli Storpi fondato nel 1827 da Don Giovanni Capece Minutolo principe di Collereale (Molonia 2019). Era questa la chiesa di San Clemente: ne resta memoria nello spazio antistante in cui è stato costruito un mercatino rionale al quale si è lasciato il nome di piazza San Clemente (Foti 1983). Distrutta nel terremoto del 1908, la parrocchiale fu ospitata per tre lustri in una chiesa baracca. Bruciata nell’incendio che distrusse, nel luglio 1924, gran parte del quartiere Lombardo, la nuova chiesa venne edificata, in muratura, su progetto dell’ingegnere Santo Buscemi, nell’attuale sede in via Ghibellina.   

Montesanto è il rione, sulla destra del torrente Zaera, tra il viale Europa e il ponte ferroviario di Camaro. Ha lo stesso nome anche la salita che dall’inizio del viale Italia conduce all’omonima collina. Compresa nella Carrubbara, la contrada era indicata fino al XIX secolo come San Giovannello. Nella riorganizzazione urbanistica dei toponimi cittadini, negli anni ‘10 del secolo scorso, prese provvisoriamente nome di fondo Ragusa e fondo Marino dal nome dei proprietari.

San Giovannello ha particolare rilievo nella toponomastica cittadina. Vi era stato fondato, nel XVI secolo, un convento e una piccola chiesa con una immagine mariana, oggetto di particolare devozione, dipinta da Simone Comandè. La presenza del convento e della chiesuola è attribuita a una devota, tale Porzia Barbuta che, nell’anno 1526, donava ad Angelo Fecillo, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani, l’area per la costruzione (Nicotra 1974). Su San Giovannello si sofferma il citato Samperi: “Salendo dal Tempio dell’Annunziata [alla Zaera, ndr] verso il Torrente che chiamano delle Cammare, sopra la cima di un monticello vi era edificata anticamente una Chiesa sotto il titolo di S. Giovanni Crisostomo. Dalla gente plebea di quel contorno, perché non era di S. Giovanni, o il Battista o l’Evangelista, con nome diminutivo veniva chiamato San Giovannello. La chiesa e poi il convento, con giurisdizione dell’Ordine dei frati del monte Carmelo, mutò poi la dedicazione a Santa Maria del Monte Santo segnando, con tale titolo, il toponimo giunto fino a oggi.

Riguardo Ariella, è il rione, già fondo Pugliatti, delimitato dalla via del Santo, dalla via Piemonte e dal rione Palmara. Il nome prende origine dalla sovrastante collina, parte del versante orientale dell’altura di Montesanto indicata in alcune carte geografiche del XIX secolo come “puntale Ariella”. Vi insiste, poco noto, un rifugio antiaereo (adesso chiuso da un muro di cemento armato) scavato negli ultimi anni del secondo conflitto mondiale. La denominazione del rione, di generica e diffusa indicazione toponomastica, deriverebbe dalle caratteristiche del luogo descritto – un tempo – come un ameno e salubre poggio, tappezzato da un fitto prato e da piante d’olivo, ventilato da brezze e animato dai giochi dei ragazzi degli attigui fondi Romeo e Pugliatti. Negli anni ’30, giusto per l’amenità del luogo e per la prossimità con l’Ospedale Piemonte, vi venne fondata una Clinica, tra le più qualificate in Italia, genericamente indicata “Lebbrosario”, poiché vi si ospitavano e si curavano pazienti affetti dal morbo di Hansen.

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