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Storia delle epidemie in un saggio di Antonio Pugliese

Storia delle epidemie in un saggio di Antonio Pugliese

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di Giuseppe Ruggeri

La “patocenosi”,definizione coniata dallo storico della medicina Mirko Drazen Grmek, rappresenta l’insieme delle malattie presenti in una popolazione in un determinato periodo e in una determinata società. Essa racchiude quindi un complesso di malattie, variabile sia quantitativamente sia qualitativamente, in cui la frequenza di ogni malattia dipende da altre, oppure anche da fattori ambientali.

Un’interrelazione sapientemente descritta e spiegata da Antonio Pugliese – già ordinario di clinica medica veterinaria presso l’Università di Messina – nel ponderoso saggio “Patocenesi – dalle malattie contagiose dell’antichità alle pesti, epidemie, pandemie ed epizoosie”(Aracne Editore 2021, 340 pp.) con prefazione di Giovanni Ballarini. Il metodo scientifico è peculiare in Pugliese, autore di oltre quattrocento memorie scientifiche e quattordici libri, che coglie spunto dall’attuale pandemia da Sars-Cov2 per far riflettere sulla sostanziale immodificabilità dei comportamenti umani nella gestione delle infezioni nelle comunità, dall’antichità a oggi. La malattia da contagio, infatti, non scampa neppure al giorno di oggi alla definizione di “stigma”, ossia di punizione divina, e invece andrebbe riconsiderata quale espressione del fitto intreccio di ecosistemi che sta alla base di qualsiasi manifestazione morbosa. “Una visione ecologica delle malattie in equilibrio dinamico fra loro all’insegna della patocenesi (…) consente di conoscere meglio come, a volte, una malattia ne eclissa altre, ma si può avere anche una sinergia fra loro, come nel caso del nostro coronavirus”.

In altre parole, secondo Pugliese, bisogna allontanare da noi l’ostinata visione antropocentrica che l’uomo “nello sfrenato progredire e nel rincorrere fantastiche chimere non si è posto mai il problema di confrontarsi con la madre natura, cercando per vari aspetti di violentarla”. Una visione olistica, piuttosto, che tenga debito conto delle esigenze biologiche di ciascun organismo vivente, potrebbe contribuire a sconfiggere la pericolosa tendenza a sovvertire il faticoso equilibrio che da sempre vige tra le specie. Virando così da una perdonabile ignoranza scientifica in termini d’igiene e cure, che fu causa di propagazione delle grandi pestilenze dell’antichità, alla colpevole “promiscuità uomo-animale nei wet-market cinesi” che, secondo alcuni studi, potrebbe essere responsabile dell’origine e diffusione dell’attuale pandemia.

Ma queste sono solo le conclusioni tratte da Pugliese al termine di una dotta dissertazione che passa in rassegna le principali pandemie del passato, risalendo alla cosiddetta “peste del Faraone”, databile addirittura al 3500 avanti Cristo. Un percorso il cui “fil-rouge” è rappresentato dalla caduta della fiducia del trascendente e di ogni vincolo etico che la costante percezione di un pericolo potenzialmente letale determina. Come aveva capito Tucidide, testimone d’eccezione della peste che colpì Atene nel 430 avanti Cristo, quando osservava “la scomparsa dei costumi sociali e religiosi, senza trascurare che le persone cessarono di temere la legge in quanto sentivano di vivere già sotto una condanna a morte”.

La storia si ripete. Solo che oggi le battaglie contro la legge e in genere contro ogni regola civile si combattono sui “social”, e senza esclusione di colpi. Una sorta di “globalizzazione in negativo” che, a ben vedere, è l’esatto contrario della patocenosi.