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di Angela Avenoso, Stefania Catania (Dipartimento Biomorf – Università di Messina)
Con il termine PFAs, acronimo dall’inglese “Perfluorinated Alkylated Substances”, si intendono sostanze di origine antropica sintetizzate per la prima volta intorno agli anni ’40 del secolo scorso. La loro struttura è costituita da una catena alchilica lineare o ramificata idrofobica di varia lunghezza, che contiene da 4 a 16 atomi di carbonio ed un gruppo funzionale polare (carbossilato, solfonato o fosfato) legato ad un’estremità. Questa struttura conferisce ai PFAs sia un’elevata stabilità termica che una grande inerzia verso i principali processi naturali di degradazione. Non si distruggono nell’ambiente ma persistono per decadi; nel tempo si sono infiltrate in quasi tutti gli ecosistemi a contatto con l’uomo, ritrovandosi nell’acqua da bere, nelle acque reflue, nel terreno, nel cibo e nell’aria.
La diffusione dei PFAs nell’ambiente è strettamente collegata alla loro produzione per gli infiniti campi di utilizzo grazie alle proprietà idrofobiche e di resistenza ai grassi che conferiscono ai materiali di uso comune. Ad esempio sono impiegati nella produzione di contenitori per uso alimentare, nei rivestimenti interni delle stoviglie antiaderenti (Teflon – ricordiamoci, però, che la produzione e la commercializzazione di Teflon in Italia è stata interrotta nel 2013 e l’UE lo ha proibito dal 2020), nei tessuti tecnici (Goretex), nelle pellicole fotografiche, nelle schiume antincendio, nei detergenti per la casa. Inoltre sono impiegati nella costruzione di tubi e raccordi per veicolare prodotti chimici aggressivi e nella costruzione di impianti chimici, poiché rendono questi prodotti resistenti alla corrosione, nell’edilizia per rivestire materiali e renderli resistenti agli incendi o agli agenti atmosferici e come additivi nelle pitture. Nel settore sanitario i PFAs sono impiegati nella costruzione di articoli medicali per impianti/protesi mediche, nella placcatura di metalli, nella lavorazione del petrolio e nella produzione mineraria; nel settore aeronautico, aerospaziale e della difesa, per la produzione di componenti meccanici; nel settore automobilistico, per migliorare i sistemi di erogazione del carburante e per prevenire infiltrazioni di benzina; inoltre, nel settore elettronico, grazie anche alle proprietà dielettriche e idrorepellenti che conferiscono ai componenti; nel settore energetico, per coprire collettori solari e migliorare la loro resistenza agli agenti atmosferici.
Per decenni queste preziosissime sostanze sono state sfruttate senza studiare gli eventuali effetti sull’ambiente e sull’uomo dovuti proprio alle caratteristiche che li hanno rese “indispensabili” ma, negli ultimi anni, si è aperto uno scenario preoccupante tale da dichiarare uno stato di crisi sanitaria ed ambientale. Alcuni studi scientifici (1, 2) hanno dimostrato la forte tossicità legata all’esposizione dei PFAs tale che sono state avviate delle campagne di monitoraggio di queste sostanze per conoscerne l’intero iter di esistenza, dalla produzione, per individuare le fonti di inquinamento, allo smaltimento per valutare gli effetti sull’ambiente e sull’uomo. I risultati hanno costretto le istituzioni a proporre inizialmente un’azione preventiva di contenimento, piuttosto che di eliminazione con il conseguente blocco di produzione e ritiro dei PFAs da ogni settore produttivo. La procedura era mirata a sviluppare sistemi controllati di produzione dei PFAs e ridurre il loro impatto sugli ecosistemi prevenendo la contaminazione involontaria nell’ambiente e nel cibo. Era infatti impossibile conoscere ed attribuire in tempi brevi il grado di tossicità per ogni composto appartenente alla categoria, ma, principalmente, non potevano essere sottostimate le ragioni economiche legate al massiccio impiego dei PFAs che da sempre hanno sviluppato enormi volumi economici in tutti i settori.
I RISCHI PER L’AMBIENTE
Inizialmente i PFAs sono stati sintetizzati per sostituire l’uso di sostanze, di cui era nota la tossicità, e non provocando danni acuti nell’immediato e avendo caratteristiche utili per le produzioni industriali, i PFAs sono stati utilizzati largamente, sottovalutando alcuni importanti aspetti tra cui la persistenza per anni nell’ambiente. I PFAs formano dei polimeri molto stabili, ma i monomeri che li compongono sono molecole più piccole e volatili, che, raggiungendo l’atmosfera, danneggiano l’ozono.
Studi epidemiologici in territori soggetti ad inquinamento chimico di PFAs e la conseguente, ma lacunosa, mappatura di siti contaminati, si è tradotta normativamente, in una successione inarrestabile di restrizioni d’uso di queste molecole.

I PFAs sono sostanze ubiquitarie e si accumulano nei diversi ecosistemi grazie alla capacità di infiltrarsi nel suolo, nell’acqua, nel cibo e nell’aria, entrando così nelle catene alimentari acquatiche e terrestri e diventando parte della nostra dieta. Tra le azioni di intervento più efficaci, la bonifica può contrastare situazioni di contaminazione ed effetti cumulativi salvaguardando la qualità dei suoli e le condizioni di salubrità dell’ambiente e dell’uomo.
Le autorità amministrative, in seguito alla bonifica, hanno proposto vari piani d’intervento tra cui autorizzazioni e valutazioni ambientali, ricorso a tecnologie di avanguardia per garantire il contenimento dei danni alla fonte e misure di mitigazione del rischio; eventuale valutazione di impatto sanitario, provvedimenti inibitori, sanzionatori o procedimenti penali. Le autorità amministrative hanno imposto limiti legislativi per i PFAs non normati, operando il criterio della sostanza tossicologicamente più affine, laddove sussistano situazioni di rischio e incertezza
RISCHI PER LA SALUTE
Per avere la stima di un’esposizione globale è importante conoscere ogni possibile fonte relativa sia all’ambiente che circonda l’uomo che alla sua vita quotidiana. Tra le possibili vie di esposizione si considera l’ingestione (tramite l’acqua, gli alimenti o il contatto con le labbra), l’inalazione (aria, pulviscolo) e il contatto dermico (maneggiamento di articoli contenenti PFAs), anche se la maggior parte degli studi hanno confermato che la dieta rappresenta la principale fonte d’esposizione.
I PFAs hanno una capacità di bioaccumulo nell’organismo umano, con effetti tossici di varia natura. In medicina sono definiti “interferenti endocrini” poiché sono in grado di interagire con la funzionalità delle ghiandole ormonali rilasciando ormoni nell’organismo che intervengono nelle attività metaboliche e di crescita, in disturbi alla tiroide, in aumentato rischio di alcune forme tumorali associate agli ormoni come cancro al seno, alle ovaie, alla prostata, all’utero. I PFAs, si legano direttamente agli ormoni, mimano la loro azione o impediscono il loro legame a recettori specifici sulle cellule alterandone la funzionalità.
L’esposizione cronica ai PFAs può causare l’insorgenza di tumori a reni e testicoli, lo sviluppo di malattie tiroidee, ipertensione gravidica e coliti ulcerose. Altri studi hanno ipotizzato una relazione tra le patologie fetali e gestazionali e la contaminazione da queste sostanze.
RISCHI PER GLI ALIMENTI
Tra gli aspetti più critici legati alla dispersione ubiquitaria dei PFAs, assume massima importanza tutto ciò che è legato agli alimenti e all’acqua. Essendo considerate a rischio le falde acquifere, la contaminazione interessa primariamente le acque destinate al consumo umano (DCU) come definizione nel DLgs 18/2023 art 2, comma1 lettera a) e 2.
Studi effettuati su campioni di acqua potabile, hanno dimostrato che la contaminazione può contribuire per poco meno del 16% all’esposizione totale di PFOA (acido perfluorooctanoico) ed in quantità ancora minore (circa lo 0,5%) a quella di PFOS (acido perfluorooctansulfonico).
La dieta alimentare può essere considerata una fonte d’esposizione ai composti perfluoroalchilici anche in modo indiretto. Tra i fattori che determinano il passaggio dei PFAS negli alimenti si evidenziano sia il contatto con le pentole antiaderenti che con il rivestimento degli imballaggi. Uno studio riporta che i PFAs possono contaminare l’alimento durante la cottura migrando dalle pentole con rivestimento antiaderente (3). Altri studi, diversamente, si sono occupati di capire come la contaminazione da PFAs nel cibo fosse in relazione con il confezionamento in imballaggi trattati con PFAS. I risultati ottenuti da una ricerca effettuata sugli incarti utilizzati per il confezionamento di popcorn e cioccolato spalmabile, precedentemente trattati con fluorotelomeri, hanno dimostrato che i composti presenti nell’imballaggio possono emulsionarsi con l’olio presente negli alimenti e trasmettersi nell’alimento (4).
LA NORMATIVA
L’acronimo PFAs indica genericamente l’intera classe di questi composti sintetici, ma particolare interesse è riservato al PFOA e il PFOS che sono due specifici composti di questa classe utilizzati nelle prime applicazioni industriali dei PFAs. Per questo motivo, sono stati studiati per primi e di conseguenza rientrati fin dall’inizio nelle linee guida sulla salute pubblicate dall’US EPA (l’Agenzia Statunitense per la protezione dell’ambiente).
PFOA e PFOS sono stati anche i primi PFAs elencati come inquinanti organici persistenti (POPs) negli elenchi della Convenzione di Stoccolma delle Nazioni Unite già dal 2009; in seguito è stato aggiunto il PFHxS (acido perfluoroesan sulfonico) i suoi sali e tutti i composti ad esse correlati

Secondo l’US EPA ci sono circa 9000 PFAs che sono stati usati nell’industria e nel commercio, ma gli elenchi normativi globali riportano la regolamentazione per un numero inferiore a 50 PFAs che corrispondono allo 0.5% del numero dei PFAs noti. Da qui è evidente che si è soltanto all’inizio e che in breve l’elenco aumenterà con nuovi PFAs e nuove regolamentazioni.
Negli Stati Uniti, il primo passo importante riguardo le restrizioni normative imposte ai PFAs è datato 10 aprile 2024, quando è stato introdotto il primo standard nazionale legalmente vincolante per l’acqua potabile.
Al Congresso degli Stati Uniti, il 18 aprile 2024, è stato presentato il Forever Chemical Regulation and Accountability Act (FCRAA), un disegno di legge che impone l’obbligo entro quattro anni di eliminare gli usi non essenziali dei PFAs in alcune categorie, ed entro dieci anni l’eliminazione da tutte le altre categorie. Sono previste esenzioni per scopi critici – al pari delle proposte UE − qualora non esistano alternative praticabili. Per ottemperare in modo definitivo alla legge, i produttori di PFAs sono obbligati a comunicare all’Agenzia per la Protezione Ambientale l’utilizzo di queste sostanze e i piani di dismissione, in linea con normative adottate a livello statale. Inoltre, sono previste disposizioni che mirano a garantire che le aziende non possano evitare le responsabilità attraverso procedure fallimentari, imponendo sanzioni civili in caso di non conformità.
In Europa, tra il 2012 e il 2022, diversi paesi hanno avviato attività di monitoraggio, identificando siti contaminati mediante lo studio di diverse matrici ambientali. Nel 2022, la maggior parte dei campioni è stata raccolta nelle acque di fiumi (52%), nelle acque sotterranee (40%), nelle acque dei laghi (5%) e in quelle costiere (3%). Ma lo studio sull’inquinamento dei PFAs nelle acque ha visto il primo importante contributo in Europa all’inizio del 2023, con l’attività scientifica del Centre national pour la recherche scientifique (CNRS) che ha individuato quasi 23000 siti contaminati in tutta Europa. Nel Dicembre 2024 la prestigiosa Agenzia europea per l’ambiente (AEA) ha rilasciato la sua prima pubblicazione sull’inquinamento da PFAs che ha elencato i risultati per le acque europee; è stato evidenziato che hanno ampiamente superato i limiti, riferendosi ai dati del 2022, ottenuti da campioni acquosi di tipo fluviale, lacustre e costiero provenienti da circa 1300 punti di monitoraggio in Europa.
Nel 2020, l’Europa ha adottato la direttiva 2184 (attuata in Italia nel 2023 con il D.Lgs n.18) in cui sono pubblicate le linee guida tecniche sui metodi analitici per il monitoraggio dei PFAs totale (totalità delle sostanze) e somma di PFAs (somma di tutte le sostanze) ritenute preoccupanti per quanto riguarda le acque DCU compresi i limiti di rilevazione, i valori di parametro e la frequenza di campionamento.
Il 7 febbraio 2023, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) ha pubblicato la proposta di restrizione REACH (il regolamento europeo sulle sostanze chimiche) sui PFAs. La proposta è stata avanzata dalle autorità di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia ed indica la restrizione totale dei PFAs nell’ambito del REACH. Il divieto prevede la produzione e l’importazione dell’intero “universo” chimico dei PFAS, con alcune deroghe fino allo sviluppo di alternative con l’obiettivo di ridurre le emissioni di PFAS nell’ambiente e rendere i prodotti e i processi più sicuri per le persone.
In conclusione la domanda è: ci dobbiamo preoccupare? La risposta, purtroppo, è “si”. L’azione dei PFAs è devastante, sia sull’uomo che sull’ambiente, ma per fortuna la macchina della ricerca e quella sociale e normativa sono ormai in movimento e, sebbene con modalità e scadenze differenti a seconda delle zone del mondo, siamo sulla buona strada per ridurre o, meglio ancora, eliminare il rischio derivante da questi prodotti.
BIBLIOGRAFIA
- Fenton SE el al. Environ Toxicol Chem. 2021, 40(3):606-630;
- Jane L. et al. Environ Res. 2022.;212(Pt C):113431
- Sinclair E, Kim SK, Akinleye HB, Kannan K “Quantitation of gas-phase perfluoroalkyl surfactants and fluorotelomer alcohols released from nonstick cookware and microwave popcorn bags” Environmental Science & Technology (2007), 41 (4), 1180-1185
- Begley TH, Hsu W, Noonan G, Diachenko G. “Migration of fluorochemical paper additives from food-contact paper into foods and food simulants” Food Additives and Contaminants. 2008;25(3):384-390