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Le due italie del voto

Le due italie del voto

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di Giuseppe Ruggeri

Chi sarà stato il vero vincitore alle consultazioni politiche del 25 settembre? Senza dubbio lo scontento degli Italiani, la sempre più ferma convinzione che la cosiddetta “scelta democratica” della loro rappresentanza parlamentare sia una farsa, e che dunque non valga la pena sprecare tempo ed energie per andare a votare. L’elevato indice di astensionismo – 37% la media nazionale, quasi il 50% nel Sud Italia – parla chiaro a riguardo.

La distanza tra politica e società si dimostra sempre più macroscopica e palpabile, prova ne siano gli interminabili e sovente stucchevoli “talk-show” televisivi in cui giornalisti tuttologi di fama si cimentano in improbabili dissertazioni sui massimi sistemi che restano ben lontani dai reali bisogni della gente. Nelle piazze, di contro, a farla da padrone è un populismo sempre più becero e meno credibile, elargitore di promesse che vorrebbero fungere da salvagente al progressivo naufragio di quelle poche idee che potevano ancora sostenere un consenso – o un dissenso – realmente “informato”. Il popolo – che i nostri parlamentari considerano ancora, come faceva Tommaso Campanella, nulla di più che una “bestia grande e grossa” da imbrigliare per contenerne i fastidiosi sussulti – rimane ostinatamente ai margini della loro sfera decisionale. E’ solo un serbatoio di voti da utilizzare al momento opportuno, e con le tecniche giuste per far sì che coloro che lo esprimono acquistino piena coscienza dell’importanza del ruolo loro assegnato.

Tutto questo gli elettori, a prezzo, certo, delle traversie governative sofferte specie nel corso dell’ultimo decennio – hanno cominciato a capirlo. Hanno capito che i cosiddetti “cambi di casacca”, l’abolizione “de facto” del vincolo di mandato, le coalizioni farlocche – volgarmente ma molto efficacemente definiti “inciuci” – e tanto altro ancora, non possono né debbono restare impuniti. Hanno capito, quegli elettori presi in giro ormai da troppi anni, che un siffatto sistema, tenuto insieme da regole elettorali machiavelliche che prevedono perfino la presenza di collegi “blindati” i quali in pratica determinano l’elezione di chi ne fa parte indipendentemente dal numero di voti ottenuto, non poteva avere un seguito. Così questi elettori hanno pensato bene di non usufruire del “diritto” a loro graziosamente concesso e si sono astenuti dal voto.

Chi ha votato di meno, si è appena detto, è stato il Sud. Quelle regioni, cioè, dove il bisogno è più pronunciato per l’elevato indice di disoccupazione. Quel Sud terra di conquista da sempre, ove il bisogno è per tradizione l’arma più potente messa in mano ai potenti per raccogliere consensi e così consolidare il proprio potere. Quasi la metà dei cittadini delle regioni meridionali non ha espresso preferenze, tanto, dicono, non serve a nulla, tanto non cambierà una virgola dello “status quo” di sempre.

Chi ha votato, al Sud, per contro, l’ha fatto in modo chiaro e determinato. Optando cioè, in massima parte, per una formazione politica che gli ha garantito il mantenimento del reddito di cittadinanza, un ammortizzatore sociale che, al Sud più che altrove, è un vero e proprio cuscinetto di protezione dalla povertà assoluta. Indennità di malattia e pensioni sociali non sono difatti più sufficienti ad arginare i colpi – nel caso in esame i contraccolpi – di un’inflazione galoppante con i correlati rincari e le prospettive di estrema indigenza che si spalancano dinanzi a oltre 4 milioni di Italiani.

Astensionismo e voto dettato dal bisogno: questi gli elementi che emergono dalla presente consultazione elettorale la quale, forse più che altre, ha tracciato un profilo preciso dell’attuale condizione dell’Italia che pensa. Che anzi “non” pensa, perché il voto d’opinione si assottiglia sempre più in diretta proporzione con la crescita di questo bisogno.

E in Sicilia? Il fenomeno Cateno De Luca, che si sarebbe tentati di definire socio-antropologico prima che politico, è da considerarsi leggermente più complesso, quantomeno per le “innovazioni” comunicative che introduce e che meritano uno studio attento delle caratteristiche del “target” di popolazione cui in modo preminente si rivolge.

Qui mi fermo per ragioni di dovuta obiettività intellettuale. Ho semplificato troppo? Non me ne vogliano gli analisti 24 su 24 (televisivi, della carta stampata e, soprattutto dei “social”) da cui ho la fortuna di essere circondato. Il mio del resto è un mestiere, anche questo per fortuna, decisamente diverso dal loro.