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Deambulazione sulle punte nei bambini: quando e se è corretto preoccuparsene

Deambulazione sulle punte nei bambini: quando e se è corretto preoccuparsene

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di Ilaria Sanzarello, Biagio Zampogna, Matteo Nanni, Danilo LeonettiDipartimento BIOMORF – Università di Messina

La conquista dell’autonomia nel cammino è una tappa certamente cruciale nella crescita motoria dei nostri bambini ma la maniera in cui questo avviene, per i primi 2-3 anni di vita, si alterna di fasi variabili e, nella maggior parte dei casi, transitorie.

Il “Toddler”, come lo chiamano gli anglofoni, ovvero il bimbo alle prime armi con la deambulazione, è in realtà da considerarsi come un giovanissimo acerbo atleta alla continua ed incessante ricerca di migliorare le proprie prestazioni in termini di equilibrio e di schema motorio. Ed è per questo che, come ogni atleta che passa il suo tempo ad allenarsi, un bimbo che ha da poco imparato a camminare allargherà le gambe, quindi la sua base d’appoggio, per sentirsi più stabile, o magari alternerà passi molto rapidi a passi lenti, un altro ancora manterrà un incedere lento e barcollante a lungo, o piuttosto inciamperà spesso o porterà le punte dei piedi in dentro. Tra le modalità transitorie del cammino nei primissimi anni di vita ritroviamo anche la camminata sulle punte, probabilmente messa in atto dal bambino con lo scopo di spostare avanti il proprio baricentro e ottimizzare l’energia nei suoi primi passi. Ognuno di questi modi di camminare appena descritti è comunque da considerarsi fisiologico nelle prime fasi di autonomia motoria del bambino poiché, appunto, fa parte di quell’allenamento costante e progressivo che porterà lentamente il bambino al miglioramento del proprio equilibrio, della sicurezza nella deambulazione e della sua postura.

La deambulazione sulle punte, in modo particolare, coinvolge un così ampio numero di bambini, anche più grandi, da aver ricevuto un nome a sé per definirla: ancora una volta facendo prestito al vocabolario anglofono, definiamo Toe-walker, il bambino che deambula in maniera prevalente, o persistente, sull’avampiede con entrambi gli arti inferiori. L’andatura sulle punte può essere, quindi, una possibile modalità deambulatoria piuttosto frequente nei bambini di età inferiore ai 3 anni e non deve destare preoccupazione, in questa fascia di età, in assenza di ulteriori elementi clinici.

Cosa fare se il bambino cammina sulle punte

E’ importante osservare il bambino durante tutte le fasi della sua giornata. Nella maggior parte dei casi il cammino sulle punte è solo un’abitudine transitoria e il bambino è comunque in grado di camminare appoggiando tutto il piede se gli viene espressamente chiesto di farlo. In questi casi si può invitare di frequente il bambino ad appoggiare tutto il piede al suolo creando magari dei giochi di stimolazione sensoriale plantare differente: invitarlo a camminare su tappeti di consistenza diversa, erba, sabbia, materassi, cuscini ect. Ma più in generale sarà semplicemente sufficiente lasciare che il bambino, il nostro giovane atleta, continui a sperimentare liberamente il suo cammino e, se necessario, le sue cadute che rappresentano una parte fondamentale del suo sviluppo motorio complessivo.

La tendenza alla deambulazione sulle punte sembra essere più frequente nei bimbi che hanno utilizzato il girello, questo è verosimilmente legato al fatto che l’utilizzo dello stesso non consente una corretta acquisizione del controllo del proprio corpo in posizione eretta e piuttosto induce all’utilizzo della spinta sulle punte dei piedi per ottenere il movimento autonomo, questa è infatti una delle ragioni per cui ne andrebbe evitato l’utilizzo.

Quando preoccuparsi se il bambino cammina sulle punte

Se è vero che una deambulazione sulle punte nelle prime fasi di vita è considerata una fase transitoria e non allarmante, è anche corretto dire che esistono delle condizioni per cui è opportuno porre invece l’attenzione su questo schema deambulatorio e sarà il vostro pediatra a saper indirizzare ad una eventuale visita specialistica.

In caso di sofferenza fetale o perinatale, o se è presente una conclamata storia familiare di malattie neurologiche di debolezza muscolare o nel sospetto di malattie del midollo spinale (spina bifida) verrà posta l’indicazione ad una visita neurologica o neurochirurgica. In caso di coesistenti disturbi comunicativi, deficit di apprendimento, disturbi severi del linguaggio (si rimanda agli articoli sul tema), verrà presa in considerazione la possibilità di effettuare una visita neuropsichiatrica per valutare eventuali segni precoci di malattie della sfera psico-comportamentale in cui l’andatura sull’avampiede può essere uno degli elementi di presentazione.

Circa il 30% dei soggetti affetti da autismo, ad esempio, presenta una deambulazione sull’avampiede sebbene la letteratura internazionale non sia ancora concorde nell’identificazione della causa di connessione. Una probabile interpretazione è che il soggetto autistico, deambulando sulle punte, riduca il più possibile gli input sensoriali dal suolo, da lui percepiti come sgradevoli. Anche in assenza di una delle cause suddette, o di altri segni clinici, esistono poi dei bambini che proseguono a deambulare sulle punte oltre ai 3 anni di età. Questi rappresentano una grande quota di pazienti e vengono definiti Toe-Walkers Idiopatici (o abituali), si tratta di una diagnosi di esclusione ed in questi casi può essere opportuno effettuare una visita ortopedica pediatrica che andrà a valutare la corretta morfologia del piede e della caviglia e la sua escursione articolare (la fisiologica dorsiflessione di caviglia è di circa 15-20°) e consentirà di identificare un’eventuale retrazione del tendine di Achille o la presenza di meccanismi posturali di compenso (iperlordosi reattiva).

Nei casi di diagnosi conclamata il trattamento può avvalersi di fisioterapia mirata allo stretching dei muscoli della loggia posteriore di gamba, in alcuni casi può ricorrere all’utilizzo di tutori o gessi con lo scopo di detendere le strutture contratte o ancora può essere indicato ricorrere alla tossina botulinica che viene iniettata nel contesto muscolare con lo scopo di detendere le strutture contratte. Nei casi più severi invece, è necessario ricorrere ad un intervento chirurgico. Gli interventi chirurgici hanno lo scopo di detendere il tendine d’Achille che, in questi casi, risulta più corto pertanto non consente al piede di effettuare il fisiologico movimento di flessione dorsale ovvero non consente meccanicamente di appoggiare il calcagno al suolo. Esistono differenti tecniche di allungamento del tendine di Achille, generalmente si effettuano per via percutanea senza quindi necessità di ricorrere ad incisioni chirurgiche e la chirurgia viene accompagnata dall’utilizzo di un apparecchio gessato che consenta al tendine di cicatrizzare correttamente.

Gli autori sono chirurghi ortopedici presso il Dipartimento Biomorf dell’Università di Messina