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Coronavirus: un fatto epocale che spinge a riflettere

Coronavirus: un fatto epocale che spinge a riflettere

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di Antonino Arcoraci

Viviamo un momento difficile, per certi versi grave, in cui la paura, il terrore e il panico sono sintomatici della nostra impreparazione all’evento e della nostra fragilità. Non ci aiutano i bollettini, a volte contrastanti, spesso contrastati, e non ci aiuta la miriade di news, spesso fake news. Se queste, da un lato possono riempire lacune, alcune strappare un sorriso, dall’altro ci inchiodano in quarantena per preservare la nostra salute e, come giustamente ci viene gridato da più parti, per preservare la salute degli altri. Non tutti conosciamo a fondo il problema, non tutti siamo in grado di fornire consigli e accorgimenti per proteggere noi stessi e gli altri in modo adeguato. Seguiamo ciò che viene detto e, con il nostro libero arbitrio, interpretiamo, ohimè, in maniera personale e non sempre corretta…

C’è chi considera quanto sta accadendo, una punizione: parafrasando l’Apocalisse di San Giovanni Apostolo, vede nel coronavirus il cavallo nero dell’Apocalisse con il suo cavaliere che ha in mano una bilancia e dà un chilo di grano al prezzo della paga di una giornata e spera nell’arrivo del cavallo bianco con il suo cavaliere che tiene in mano un arco, in testa una corona ed esce da vincitore per vincere ancora…C’è chi considera il virus, un “dono” della terra, cresciuto per metterci in ginocchio, per fermare il mondo, dimezzare l’inquinamento delle grandi nazioni; un “monito” per costringerci a guardare dentro di noi, per insegnarci una nuova umanità necessaria, per capire il valore delle cose.

Certamente è un momento in cui bisogna riflettere, in cui è d’obbligo la prudenza e in cui bisogna avere doti di grande umiltà. Le notizie martellanti, da un lato aggiornano, da un lato indeboliscono le nostre capacità di percezione, sono ripetitive e fanno travisare il senso del rischio. Coinvolgono e ci spingono verso una incontrollabile paura di massa, una distorta gestione del nostro “essere” nei confronti della pandemia. Paura che, come dice Edoardo Boncinelli, è grande spinta e pessima consigliera, che ci travolge e ci scoraggia, che non ci fa usare la ragione, che per Umberto Galimberti è angoscia.

E, invece, bisogna fare appello proprio alla ragione, caricarsi di responsabilità. Confidare nell’aiuto del Signore e lasciare che il governo si prodighi – come sta facendo – per arginare la diffusione della malattia; per limitare al massimo la perdita di vite umane anche a scapito dell’economia italiana che, di per sé precaria, purtroppo, precipita.

Fa bene mantenere un pizzico di ottimismo ed è carino che esso sia incoraggiato dal coro del “ce la faremo”, dallo sbandieramento del tricolore, dal canto dell’inno di Mameli che unisce tutti.

Il mio amico Antonio Cattino si consola sperando che il Coronavirus, al Sud, finirà con il calduccio del nostro maggio. Considera questo periodo un’occasione per socializzare con noi stessi, col nostro intimo e con il nostro vissuto…un periodo buono per progettare. Un’occasione per riprenderci…dal pericolo di perderci tra le maglie dell’idiozia generale, delle paure a comando e quant’altro nel vuoto spinto delle idee. Si può leggere un buon libro, egli scrive, si può telefonare a qualcuno e dire “come stai?” Si possono scambiare due chiacchiere…che fanno bene, che fanno guarire… almeno nello spirito. Non dimentica chi oggi è in difficoltà, a rischio salute, chi sta perdendo il lavoro o l’ha già perso, chi deve pagare una badante per lasciare i bambini custoditi…

        Dimentica che noi, al Sud, ora, più di prima, siamo in pericolo: l’onda di rientro della gente che viene dal Nord…il nostro modo di essere poco igienisti, le nostre strutture sanitarie non adeguatamente attrezzate, non ci fanno sperare bene. La cronaca di tutti i giorni ne dà testimonianza.

        Assumono rilievo le parole del Presidente della repubblica che

sono il messaggio di quanto gli esperti Gli hanno preparato… l’esempio dato dal Papa.

        Ci dobbiamo solo augurare, e parlo prevalentemente per noi anziani, che le misure di prevenzione siano sufficienti, che la sanità non ci abbandoni, che la carità di Dio ci sia sempre vicina.

        In questo momento, davanti a una realtà incontrollabile e altamente lesiva, ci sentiamo impotenti. Razionalmente esorcizziamo l’evento drammatico, ci aggrappiamo ai vari ancoraggi clinici, sociali, psicologici, pedagogici, di fede e di carità. Ottimizziamo in modo razionale le nostre risorse. Confidiamo nella ricerca che non si arresti, nella scoperta del farmaco risolutore. Lasciamo spazio alla speranza e, per chi crede, al rifugio nella preghiera.
Viviamo quindi, questi giorni di Quaresima, in una “quarantena personalizzata”, a ricordare e meditare i 40 giorni di Gesù nel deserto in solitudine.  Speriamo che la Pasqua sia veramente di Resurrezione, che riepiloghi, come dice Filippo Boscia, tutti i misteri e ci proietti verso la verità che spesso non riusciamo facilmente a riconoscere. Che ci rigeneri nella Sua luce che ci induca a pregare per le vittime del contagio…per gli ammalati, per i sofferenti, per le loro famiglie…per chi non c’è più…A pregare per noi stessi, magari con questa antica preghiera irlandese che recita: Che Dio ci conceda sempre un raggio di sole per scaldarci, un raggio di luna per incontrarci, un Angelo protettore così che niente ci possa far male. Una risata che ci rallegri. Amici provvidenziali vicino a noi. E quando preghiamo che il cielo ci ascolti.