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Due nuove soluzioni italiane per salvare i coralli

Due nuove soluzioni italiane per salvare i coralli

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Due innovazioni tutte italiane potrebbero fare la differenza per la salute delle barriere coralline, sempre più minacciate da cambiamenti climatici e inquinamento. Un gruppo di ricerca dell’Università di Milano-Bicocca, dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dell’Acquario di Genova ha messo a punto due strumenti all’avanguardia, pensati per proteggere e curare i coralli: una biopasta conduttiva e un cerotto naturale.

  1. La biopasta che fa crescere i coralli
    La prima invenzione si chiama Active Biopaste: è una pasta biodegradabile fatta con olio di soia e grafene, una sostanza molto conduttiva. Questa biopasta ha due funzioni fondamentali:
    • Fa da colla naturale per attaccare i frammenti di corallo alle strutture marine, utile sia nelle nursery sottomarine che direttamente sulla barriera;
    • Stimola la crescita dei coralli usando la tecnologia MAT (Mineral Accretion Technology), che sfrutta una lieve corrente elettrica per favorire il deposito di carbonato di calcio, il “mattoncino” con cui i coralli costruiscono il loro scheletro.
    Rispetto alle tecniche tradizionali, la novità è che non servono strutture metalliche permanenti, che spesso arrugginiscono e inquinano l’ambiente. La pasta si indurisce in acqua di mare e dura oltre 40 giorni, e nei test ha fatto crescere i coralli il doppio rispetto al gruppo di controllo. In pratica, è un materiale intelligente, sicuro per gli ecosistemi marini e utile per la conservazione attiva.
  2. Il cerotto antibiotico per i coralli malati
    La seconda innovazione è un cerotto naturale pensato per curare i coralli colpiti da malattie infettive, che spesso si diffondono rapidamente e possono decimare intere barriere.
    Il cerotto ha una struttura a doppio strato:
    • Il primo strato è una pellicola idrofila fatta con chitosano, una sostanza naturale derivata dai crostacei, che contiene antibiotici.
    • Il secondo strato è un sigillante idrofobo, a base di cera d’api e oli vegetali (come girasole e lino), che protegge il rilascio dei farmaci e impedisce che si disperdano nell’ambiente.
    Testati in acquario, questi cerotti hanno fermato la malattia nel 90% dei casi, curando zone infette in modo mirato senza inquinare l’acqua. Il sistema permette di trattare anche infezioni molto aggressive, come quelle causate da necrosi tissutale.
    Perché è importante?
    Le barriere coralline sono fondamentali per la vita marina e per milioni di persone che vivono lungo le coste. Proteggono dai maremoti, sono risorsa per la pesca e il turismo, e ospitano una biodiversità incredibile. Ma oggi sono tra gli ecosistemi più minacciati del pianeta. Cambiamenti climatici, sbiancamento, malattie e attività umane le stanno distruggendo.
    Questi nuovi strumenti non sono soluzioni miracolose, ma strumenti concreti che possono guadagnare tempo prezioso, in attesa che le politiche di mitigazione climatica facciano il loro effetto.
    Un lavoro di squadra
    Queste innovazioni sono il frutto di una collaborazione interdisciplinare tra:
    • il Centro MaRHE dell’Università di Milano-Bicocca, con i suoi studi di biologia marina;
    • il team Smart Materials dell’IIT, esperto in materiali sostenibili e intelligenti;
    • l’Acquario di Genova, che ha fornito ambienti controllati per testare i prototipi in condizioni realistiche.
    Questa alleanza ha già prodotto altri studi innovativi, come l’uso della curcumina, un antiossidante naturale della curcuma, per combattere lo sbiancamento dei coralli.
    Un mare-laboratorio
    Il cuore di questa ricerca è l’idea che il mare non sia solo un ecosistema da proteggere, ma anche un vero e proprio laboratorio naturale, dove testare soluzioni intelligenti per un futuro più sostenibile. Materiali biodegradabili, tecnologie non invasive e rispetto per la biodiversità sono le parole d’ordine di questo approccio, che guarda lontano.
    Come spiega la coordinatrice Athanassia Athanassiou, ogni scelta progettuale è fatta pensando non solo all’efficacia del materiale, ma anche al suo impatto ambientale una volta esaurito. È un nuovo modo di fare scienza, responsabile e orientato al futuro.

L’articolo completo è pubblicato sul link: https://advanced.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/adma.202502078