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Giornata Mondiale per il Cuore: rischio alto/molto alto per l’87% dei pazienti ipertesi dello studio Save Your HEART secondo le Linee Guida ESC

Giornata Mondiale per il Cuore: rischio alto/molto alto per l’87% dei pazienti ipertesi dello studio Save Your HEART secondo le Linee Guida ESC

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Con oltre 18 milioni di decessi, le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di mortalità nel mondo, con un’incidenza del 34,8%. Ogni anno in Italia sono circa 230.000 le persone che muoiono a causa di queste patologie1. A livello globale, tra il 1990 e il 2019, il numero di pazienti ipertesi è raddoppiato, passando da 650 milioni a 1,3 miliardi, circa quattro 4 persone affette su 5 non vengono adeguatamente trattate. In Italia, invece, dei 16,6 milioni di adulti con ipertensione, il 62% ha ricevuto una diagnosi e il 54% un trattamento, ma solo il 28% riesce a tenere sotto controllo la malattia. Secondo l’Oms, nel nostro Paese sarebbe necessario trattare 3,3 milioni di persone con ipertensione in più, per raggiungere un tasso di controllo pari al 50%[4]. Si stima, infatti, che un aumento della copertura delle cure per l’ipertensione potrebbe prevenire 76 milioni di decessi, 120 milioni di ictus, 79 milioni di attacchi cardiaci e 17 milioni di casi di insufficienza cardiaca da qui al 2050. Si tratta di dati altamente preoccupanti che richiedono la messa in campo di strategie efficaci per contrastare queste malattie, prime fra tutte informazione e prevenzione, diagnosi precoce e aderenza alle terapie, tematiche di cui, anche quest’anno, si discuterà in occasione della Giornata Mondiale per il Cuore, che si celebrerà il prossimo 29 settembre, organizzata nel nostro Paese dalla Fondazione Italiana per il Cuore grazie anche al supporto del Gruppo Servier in Italia.
“La Giornata Mondiale per il Cuore è un’opportunità importantissima per sottolineare il ruolo strategico della prevenzione nel contrasto delle malattie cardiovascolari, che hanno un impatto pesantissimo sulla qualità di vita del paziente e sui costi dell’intera società” – commenta Emanuela Folco, Presidente di FIPC – “Una importante analisi sui costi economici delle MCV condotta in Europa dal 2006 è stata presentata qualche settimana fa al congresso della Società Europea di Cardiologia e mostra come anche nel nostro Paese le malattie cardiovascolari rappresentano, nel 2021, una delle principali voci di spesa delle prestazioni previdenziali, costituendo circa il 15% del totale della spesa sanitaria. Queste patologie comportano un costo pro-capite di circa 726 euro, includendo sia i costi sanitari che quelli dell’assistenza sociale a lungo termine. Investire nella prevenzione rappresenta, dunque, non solo una scelta saggia per tutelare la salute del singolo ma anche un approccio economicamente vantaggioso per il Sistema Sanitario Nazionale, in termini di risparmio”.
La Giornata, il cui claim è ‘PER IL CUORE, CON IL CUORE, PER TE”, rappresenta anche l’occasione per il Gruppo Servier in Italia di presentare i risultati di un’analisi secondaria dei dati raccolti con lo studio Save your HEART, recentemente pubblicata su High Blood Pressure & Cardiovascular Prevention. Save Your HEART[5], studio osservazionale condotto nelle farmacie italiane nel periodo post pandemico, aveva indagato i fattori di rischio cardiovascolare non diagnosticati e/o non controllati in soggetti ipertesi in trattamento antipertensivo, intercettando i pazienti che sottovalutavano o ignoravano le possibili conseguenze a cui erano esposti. Nei mesi successivi gli autori hanno condotto un’analisi secondaria per valutare l’evoluzione del rischio cardiovascolare, alla luce dei nuovi target terapeutici e delle nuove carte del rischio pubblicati all’interno delle Linee Guida ESC 2021 sulla prevenzione cardiovascolare. Queste ultime hanno introdotto l’aggiornamento dell’algoritmo di calcolo del rischio cardiovascolare SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation), denominato SCORE2, per valutare il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari fatali e non fatali in 10 anni, prendendo in considerazione anche il fatto che in questo nuovo calcolo l’Italia è purtroppo passata da un rischio cardiovascolare basso (<100 morti cardiovascolari per 100.000 abitanti)[6]-[7] ad uno moderato (100-150 morti cardiovascolari per 100.000 abitanti)[8]-[9]. Quello che emerge dall’analisi secondaria in questione è un quadro complessivo preoccupante, con il 70% circa dei partecipanti che è risultato non in grado di tenere la pressione arteriosa nei limiti previsti dalle nuove linee guida3 ma soprattutto con un aumento dei pazienti ipertesi a rischio cardiovascolare alto o molto alto, che è passato dal 49% all’87% circa2, considerando non solo gli eventi cardiovascolari fatali, ma anche la possibilità di incorrere in 10 anni in un evento non fatale.
“Nell’immaginario comune si tende a pensare all’Italia come ad un Paese caratterizzato da un rischio cardiovascolare basso. In realtà, la fotografia catturata dallo Studio ci porta in tutt’altra direzione” – dichiara Claudio Ferri, Professore Ordinario in Medicina Interna presso l’Università degli Studi dell’Aquila. “La rivalutazione dello studio Save Your HEART, infatti, mette in luce il grave problema legato alla percezione del rischio cardiovascolare, che spesso viene sottostimato. Questo nonostante l’età media di insorgenza sia dei fattori di rischio, sia delle patologie cardiovascolari si stia progressivamente abbassando. Ne sono una prova proprio i dati emersi da questa analisi secondaria, che mostrano come il mancato raggiungimento dell’obiettivo pressorio e di LDL colesterolemia sia purtroppo comune. Ciò è dovuto tanto all’ipotrattamento, quanto ad una modesta aderenza e persistenza terapeutiche. Accanto al monitoraggio più costante ed attento del proprio livello di rischio cardiovascolare, pertanto, è necessario anche promuovere l’assunzione corretta dei farmaci e semplificare la terapia farmacologica”.
L’analisi conferma ancora una volta quanto i fattori di rischio cardiovascolare non adeguatamente controllati contribuiscano ad aumentare il carico di morbilità e mortalità. I trattamenti farmacologici possono ridurre sostanzialmente questo rischio, ma la loro efficacia è limitata in caso di mancata aderenza o interruzione precoce della terapia. Per contrastare l’inerzia terapeutica e aumentare l’aderenza del paziente, è fondamentale il follow-up dei pazienti, l’aggiornamento e, ove possibile, la semplificazione della terapia.