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Intervista all’immunologo messinese  Pietro Mastroeni, docente a Cambridge:  “Dedico la mia vita alla ricerca di batteri, vaccini e antibiotici”

Intervista all’immunologo messinese Pietro Mastroeni, docente a Cambridge: “Dedico la mia vita alla ricerca di batteri, vaccini e antibiotici”

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di Massimiliano Cavaleri

 

prof. Pietro Mastroeni

Classe 1967, laureato in medicina e chirurgia a Messina, siciliano doc: Pietro Mastroeni dedica la sua vita professionale all’immunologia e in particolare allo studio e ricerca di batteri e virus e quindi vaccini, cure e antibiotici per varie patologie, ma soprattutto innovativi metodi e tecniche all’avanguardia per rendere il nostro sistema immunitario più efficace e rispondente alle minacce interne ed esterne. Lo fa con grande modestia, spirito di sacrificio e passione, doti che gli hanno consentito di ottenere nel 1994 il titolo di PhD (Doctor of Philosophy) presso il Department of Pathology and Darwin College dell’Università di Cambridge, una delle più prestigiose al mondo e, nel 2017, di ScD (Doctor of Science), un dottorato di altissimo livello che rappresenta un riconoscimento alla carriera per il costante e straordinario contributo alla causa scientifica. Un orgoglio per la nostra città, per la Sicilia, per il Paese che dimostra ancora una volta di saper esportare talenti e cervelli in vari ambiti e così torna in mente la celebre frase di Indro Montanelli, “gli italiani hanno un grande futuro, l’Italia un po’ meno…”. Un percorso formativo brillante tra la città dello Stretto, Londra, Newcastle upon Tyne, Parigi e ovviamente Cambridge dove poi è rimasto, arricchito nel tempo da numerosi premi e riconoscimenti di respiro internazionale, da ultimo nel 2018 ha ricevuto la Fellowship of the Higher Academy of Education e la Fellowship of The Royal Society of Biology. Lo abbiamo incontrato per conoscere meglio le sue molteplici attività.

Prof. Mastroeni, come nasce la passione per la medicina e l’immunologia?

Fin da piccolo ero molto curioso del mondo scientifico, attratto dalla biologia e dalla medicina, ma soprattutto quella tendente alla prevenzione delle malattie; invece ho amato meno la parte clinica. Già durante gli studi accademici nell’ateneo messinese, sono partito più volte per alcuni stage nell’Università di Cambridge, che mi hanno affascinato in modo particolare. Una volta laureato, nel 1990, ho avuto la possibilità, anche grazie ad una borsa di studio della Fondazione Bonino-Pulejo, di fare un Master e un PhD proprio lì e subito dopo lavorare a Newcastle. Finito questo periodo, dopo un breve stage al Pasteur Institute di Parigi, mi offrirono una fellowship all’Imperial College of Science, Technology & Medicine di Londra e, infine, l’attuale cattedra a Cambridge, dal 1° ottobre 1999, data molto importante per la mia carriera.

In cosa consiste la sua attività? Quali incarichi ricopre oggi?

Al momento oltre l’attività didattica a Cambridge, sono responsabile del gruppo di immunologia alle infezioni e sviluppo di vaccini e vicedirettore dell’insegnamento accademico. Fondamentalmente mi sono sempre dedicato all’immunologia, che detta in parole povere, è l’incontro e interazione tra batteri e “ospiti”. Partendo da questo concetto di base, ho potuto costruire i fondamenti razionali utili al funzionamento di vaccini e per scegliere quali classi di vaccini vanno sviluppate per determinate malattie: un metodo, un approccio, un sistema scientifico da cui poi dipendono le produzioni di cure e farmaci per patologie più o meno comuni. Meningococco, salmonellosi, Zika, Ebola, malaria: mi vengono in mente alcuni esempi esplicativi per fare capire come l’individuazione di parametri e protocolli ben precisi da seguire metodicamente per lo studio delle risposte immunitarie e delle immunodeficienze consenta l’invenzione di vaccini per qualsiasi, o quasi, patologia. Ho concentrato spesso le mie ricerche sulle malattie che colpiscono in particolare l’Africa: sono stato spesso in Malawi, Kenya, Uganda proprio per studi del genere. Viaggio molto in tutto il mondo, per collaborazioni, per affontare e apprezzare la complessita’ delle mattie nelle zone dove queste sono piu diffuse e per comunicare, in congressi internazionali, i risultati delle nostre ricerche esaltando i giovani talenti del mio gruppo.

Il suo “fiore all’occhiello”?

Sicuramente scoprire come alcuni batteri si diffondono nell’organismo e sfuggono al controllo del sistema immunitario: ciò ha un impatto enorme sullo sviluppo di vaccini e antibiotici, Noi studiamo l’integrazione dei vari livelli di complessità nella patogenesi dei microbi, partendo dalle interazioni tra molecole fino all’interazione del patogeno con l’intero organismo dell’ospite; aspetti cellulari e molecolari che portano al

disegno e ottimizzazione di vaccini, immunoterapie e terapie antibiotiche. Combattere un’infezione è come vincere una guerra: bisogna scoprire dove si nasconde il nemico e come si muove da un posto dall’altro; solo così è possibile intervenire in modo mirato e rapido, e con il minimo danno collaterale.

A proposito di “nemici”: si parla sempre più spesso di antibiotico – resistenza…

Il batterio si difende sempre: è una sua necessità ecologica. Nel tempo per qualunque tipo di paziente è scorretto l’eccesso di antibiotici, sia se usati ad libitum, come avviene in alcuni stati dove si acquistano facilmente senza ricetta medica, sia prescritti in eccesso da medici e veterinari, o ancora quelli che spesso anche illegalmente si riscontrano negli allevamenti animali, perchè causano la selezione di batteri resistenti che poi diventano prevalenti. Al contrario si devono rispettare parametri molto rigidi per l’ utilizzo di antibiotici. In ogni caso ormai esistono metodi, come il sequenziamento molecolare del genoma, strumento tra l’altro sempre piu’ rapido e a basso costo, che però spesso non viene usato: consente di capire a quali antibiotici è potenzialmente resistente un determinato batterio, specie se sono presenti infezioni molto gravi e risulta indispensabile individuare un antibiotico efficace in breve tempo. A volte invece si tenta la fortuna, e si prescrive una terapia in modo empirico, spesso per la lentezza dei metodi diagnostici tradizionali.

A proposito di vaccini, quali “battaglie” ancora non sono state vinte dalla ricerca medica? E perché?

Sono tante. Per esempio: tubercolosi, malaria, meningite e HIV, perché si tratta di patogeni con un ciclo molto complesso, presentano varianti dello stesso patogeno che girano per il mondo o mutano in maniera rapida riuscendo ad evadere la risposta immunitaria.

Inoltre, in questo momento l’attenzione, anche nostra, si sta indirizzando verso piattaforme per vaccini o terapie immunologiche che abbiano la capacità di rispondere in modo veloce ad una possibile emergenza sia di alcuni patogeni attualmente in circolo sia delle cosiddette patologie “X”, intendendo quelle pronte a comparire da un momento all’altro che rappresenterebbero una seria minaccia per l’umanità (ricordiamo i casi della SARS o dell’Ebola virus, per adesso contenute).

In cosa si distingue Cambridge rispetto ad altre università?

Sono diverse le peculiarità di un’Università inglese come quella di Cambridge e per me è un privilegio farne parte. Innanzitutto non esiste una forte “gerarchia”: già da studente prendevo il caffè e chiacchieravo a stretto contatto con premi Nobel per la medicina, di cui ho apprezzato umiltà, modestia e disponibilità, virtù che mi hanno colpito e insegnato molto. Esiste un “livello minimo qualitativo di appartenenza”: un concetto generale e molto importante in ambito accademico, nel senso che persino l’ultima ruota del carro deve essere di qualità, perché solo così alla fine la grande macchina funziona bene. In molti altri luoghi invece la qualità viene presunta dalle punte di eccellenza in un contesto mediocre. Inoltre chi sta al vertice della catena produttiva non può permettersi di scegliere persone non all’altezza, perché ne andrebbe del suo risultato finale. Cambridge si distingue anche per una forte interazione con il mondo dell’industria e del business; importanza primaria all’informatica, all’accettazione del tempo determinato e della mobilità che, secondo il nostro punto di vista, crea competitività; e naturalmente, l’internazionalità perché si scelgono le persone migliori da varie nazioni. Infine c’è un’attenzione estrema al conflitto di interesse e la totale assenza dell’influenza dei partiti politici nell’Università, cosa impensabile in molti Paesi come l’Italia. Infine noi scienziati e insegnanti siamo continuamente monitorati e dobbiamo rispettare alti standard qualitativi di ricerca e didattica, da cui dipendono i finanziamenti stessi per l’ateneo. Ogni cinque anni, ad esempio, siamo soggetti al “REF” Research Excellence Framework. Cambridge si potrebbe paragonare ad una piramide fatta con le carte: ognuna deve, stare al suo posto e reggere le altre, tutti sono necessari e complementari. O ad una squadra di calcio di alto livello, dove si attirano i migliori giocatori del mondo, solo con criteri qualitativi per raggiungere il successo.

Nostalgia della Sicilia?

Amo la mia terra e la mia città: torno qui spesso ma solo per motivi personali; anche se non nascondo di aver manifestato più volte all’Università di Messina la mia disinteressata disponibilità per eventuali collaborazioni, che magari potrebbero renderla più internazionale oltreché offrire agli studenti possibilità di rapportarsi con Cambridge.

Di recente vado di frequente anche in Toscana per via di un innovativo progetto denominato “AchilleS Vaccines” (www.achillesvaccines.com), organizzazione dinamica che coinvolge eccellenti menti odierne nel settore dei vaccini, con sede a Siena.