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La mano invisibile: essere medico nel tempo della pandemia

La mano invisibile: essere medico nel tempo della pandemia

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di Francesco Trimarchi*

Questa riflessione deve aprirsi con un tributo di gratitudine ai medici, agli infermieri, agli agenti socio-sanitari e a quanti altri che, incuranti del rischio della loro vita, hanno prestato e prestano la loro opera nella cura dei cittadini contagiati dal Covid-19. Il contesto, il modo, il metodo, la fattualità del prendersi cura di una persona con un problema di salute, nell’ambulatorio del Medico di Famiglia, in un ambulatorio specialistico, in uno studio medico pubblico privato, hanno mutato, abbastanza repentinamente, essenza e statuto. Non sono, ovviamente, mutate le caratteristiche antropologiche della persona né l’espressione soggettivo-funzionale e quella clinica del disordine lamentato. Sono cambiati e in modo radicale il modo di essere “paziente” e il modo di essere “medico” nel contesto pressoché esclusivo di un approccio basato sulla Telemedicina. Il Ministero della Salute ha prodotto un documento ( http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2129_allegato.pdf ) che definisce e discute in modo dettagliato la natura e la applicazioni della Telemedicina, quale modalità di assistenza sanitaria, per mezzo di tecnologie innovative di informazione e comunicazione (ICT), nella situazione (che stiamo vivendo in tempo di SARS- CoV‑2) in cui il medico e il paziente (o due o più professionisti) non si trovano nello stesso luogo fisico, ambulatorio o reparto clinico. La Telemedicina, assimilata a qualunque servizio sanitario diagnostico/terapeutico deve essere considerata sempre integrativa e mai sostitutiva dell’azione diagnostico-terapeutica del medico, ma, nella primavera del 2020, è divenuta, di fatto, sostitutiva, mutando sostanzialmente la prospettiva del rapporto col paziente. Fra le persone con un problema di salute di pertinenza endocrina di cui tratto per

personale competenza professionale e culturale, quelle affette da Diabete mellito, sono un numero assai cospicuo e a indicare come prendersene cura in siffatto contesto, la Società Italiana di Endocrinologia, congiuntamente alle Società scientifiche che hanno analogo oggetto culturale (SID e AMD), ha prodotto un documento con raccomandazioni operative appropriatamente diffuse anche sul sito della SIE, relativo a “Procedura per la realizzazione in remoto delle visite di controllo ambulatoriali programmate nei centri di diabetologia che già seguono le persone con diabete” (http://societaitalianadiendocrinologia.it/html/cnt/emergenza-covid.asp, ) che cerca di mitigare gli effetti negativi dell’assenza di contatto interpersonale e ha dato notizia anche ai mezzi di informazione di evidenze scientifiche relative a prevalenza e impatto del diabete fra le persone contagiate dalla SARS-CoV2. Le rare urgenze in endocrinologia clinica non possono comunque prescindere dal contatto fisico in contesti adeguatamente protetti e includono la crisi surrenalica, le iponatremie, le ipocalcemie e le ipercalcemie acute, l’apoplessia ipofisaria, adeguatamente definite dalle linee guida delle società scientifiche endocrine, oltre alla rara crisi tireotossica e a complicanze acute in corso di terapia quale, per esempio, l’oftalmopatia maligna e progressiva o la gestione complessiva del cancro della tiroide in progressione. La maggior parte delle persone con disordini endocrini già diagnosticati, in trattamento e seguiti nel decorso, possono comunque adeguatamente beneficiare di un rapporto con lo specialista attraverso lo strumento della telemedicina, essendo comunque rare e dilazionabili nel tempo le non frequenti procedure diagnostiche e terapeutiche invasive che presuppongano un contatto fisico, quali, ad esempio, i trattamenti invasivi non chirurgici dei noduli tiroidei e le procedure diagnostiche combinate di immagini e biochimiche, quali i cateterismi vascolari che, comunque, comportano la compresenza di diversi specialisti.

Tale modo di essere medico implica un sostanziale cambio di prospettiva che è stato magistralmente delineato in un articolo di Michelle M. Kittleson, del Dipartimento di Cardiologia del Cedars-Sinai Medical Center, Los Angeles [Kittleson MM, The Invisible Hand — Medical Care during the Pandemic, New Engl J Med.2020. DOI: 10.1056/NEJMp2006607]. L’Autrice riferisce di avere visitato il 3 marzo del 2020 un uomo di 70 anni con una storia tipica di angina stabile che durava da sei mesi. In quella data, la pandemia aveva colpito soltanto Cina, Iran, Italia e Corea del Sud e la cardiologa non ne “aveva segnali nel proprio radar”. Applicando le LG dell’American College of Cardiology/American Heart Association, prescrisse beta bloccanti, aspirina e una statina, escludendo la necessità di una coronarografia ma dovendo vincere la diffidenza del paziente e della moglie che avevano molta paura “della bomba a orologeria nel torace” e che desideravano la prescrizione dell’indagine invasiva coronarografica. Il giorno fissato per la visita di controllo, due settimane dopo, nonostante le preoccupazioni della cardiologa (devo guardarlo in faccia, devo auscultare il cuore), la visita ebbe luogo per telefono con un completo cambiamento di prospettiva: se prima del Covid-19 si era dovuto pesare il rapporto costo/beneficio di una coronarografia e contemperarlo con la paura del rischio insito alla procedura, dal 16 marzo si aggiunse la paura di una possibile malattia respiratoria fatale. La bomba

a orologeria era diventata, a quel punto, il Covid-19 e il paziente e la moglie non reclamavano più la coronarografia. Il paziente con angina stabile si era ammalato di Covid-19 non perché il virus era penetrato nel suo apparato respiratorio ma perché gli aveva trasmesso la paura. Al tempo stesso la mano invisibile del Covid-19 aveva sollevato la dottoressa dall’impegno di dovere contemperare l’adesione alle linee guida con il reclamato desiderio del paziente, con un inatteso cambio di prospettiva nel rapporto di cura. “Seppur schiacciati dalla anche letale aggressività del Covid-19 -conclude Michelle Kittleson- i medici non devono dimenticare che le altre malattie continuano la loro evoluzione durante la pandemia”. L’ endocrinologo dovrà quindi imparare a fronteggiare, specie nella sua azione di diagnosi e cura telematica, non soltanto gli effetti della malattia sulla salute del paziente ma anche le sue paure, in uno scenario inatteso e in imprevedibile evoluzione, ma non potrà mai prescindere dall’obbligo di prendersi cura di una persona, guardandola negli occhi, entrando in relazione fisica ed empatica con essa, secondo la più classica metodologia medico-clinica.

*Professore ordinario di Endocrinologia a r. nell’Università di Messina, Direttore della II Classe dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, Presidente onorario dell’Ordine dei Medici-Chirurghi e Odontoiatri di Messina

francesco.trimarchi@unime.it