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Vite parallele di due donne per raccontare il tumore ovarico con la voce di  Claudia Gerini

Vite parallele di due donne per raccontare il tumore ovarico con la voce di Claudia Gerini

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di Massimiliano Cavaleri


L’attrice volto e voce narrante di 6 video-racconti che illustrano momenti di straordinaria quotidianità di persone affette da tumore ovarico, nell’ambito della campagna “Tumore Ovarico, manteniamoci informate!”, promossa da Fondazione AIOM

Sara è una donna dinamica, appassionata dei propri progetti lavorativi, che pratica yoga e adora la cucina. Monica sogna di scrivere un libro di racconti, ama da sempre lo sport e in cucina non ci sa proprio fare. Due donne diverse per carattere, stile di vita, interessi ma che affrontano la stessa malattia, il tumore ovarico. Monica presenta una mutazione genetica di tipo BRCA1, Sara ha una forma non mutata di malattia.

Le loro vite parallele sono il fil rouge dei 6 video-racconti della campagna di sensibilizzazione “Tumore Ovarico, manteniamoci informate!” che da oggi vengono rilasciati con cadenza quindicinale sul sito web www.manteniamociinformate.it e sui profili Facebook e Instagram della campagna.

I video-racconti, diretti da Paola Pessot, portano all’attenzione dello spettatore frammenti straordinari di vita legati all’esperienza delle protagoniste, Sara e Monica, interpretate da Laura Mazzi e Francesca Della Ragione, con il volto e la voce narrante della testimonial d’eccezione Claudia Gerini.

La campagna “Tumore Ovarico, manteniamoci informate!” è promossa da Fondazione AIOM insieme ad ACTO Onlus, LOTO Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra con il sostegno incondizionato di GSK, che nei prossimi mesi porterà avanti una serie di attività online, campagne social ed eventi sul territorio nazionale.

In Italia ogni anno oltre 5.200 donne ricevono una diagnosi di tumore ovarico, uno dei più aggressivi tumori femminili. A causa di sintomi aspecifici o non riconosciuti, in circa l’80% dei casi la malattia viene diagnosticata in fase già avanzata. Oggi però lo scenario è in evoluzione e una delle novità più importanti di questi anni è la possibilità per tutte le pazienti di accedere alle terapie di mantenimento, che permettono di allontanare le ricadute dopo chemioterapia e che si sono dimostrate efficaci su questa neoplasia.

«Lo scenario è in evoluzione – dichiara Stefania Gori, Presidente Fondazione AIOM e Direttore Dipartimento Oncologico IRCCS Sacro Cuore Don Calabri, Negrar – uno dei progressi più importanti è la possibilità di utilizzare, in fase di mantenimento dopo la chemioterapia, terapie orali con i PARP inibitori, che hanno aumentato in modo significativo la possibilità di prolungare il tempo libero da progressione di malattia nelle donne con mutazione BRCA. Finalmente adesso i PARP inibitori possono essere utilizzati anche nelle pazienti “senza” mutazione BRCA, che rappresentano ben il 75% del totale e che fino a poco tempo fa avevano poche alternative terapeutiche. Tali farmaci possono essere utilizzati dopo una prima linea di chemioterapia oppure al momento della recidiva di tumore, dopo altre linee di chemioterapia. Purtroppo, ancora oggi, 3 pazienti su 4 senza mutazione BRCA (Wild Type) in recidiva non sono in terapia di mantenimento con un PARP inibitore o non lo ricevono in modo tempestivo ma sicuramente questo dato tenderà a migliorare nel tempo».

La diagnosi precoce per il carcinoma ovarico non esiste ancora e molto spesso viene diagnosticato tardivamente. La conoscenza di questa malattia e cure appropriate sono al momento le uniche due armi per contrastarla da subito.

«Purtroppo oggi per il tumore ovarico non esistono ancora strumenti validi di prevenzione o di screening. Ma ogni donna può favorire una diagnosi tempestiva imparando a conoscere la malattia, a riconoscerne i sintomi e a parlarne con il proprio medico nel caso quando questi sintomi si presentino tutti insieme o in sequenza in un breve arco di tempo – spiega Nicoletta Cerana, Presidente di ACTO Onlus – ma il futuro forse ci riserva una sorpresa. È di questi giorni la notizia pubblicata sulla rivista scientifica Jama Oncology Network di una ricerca dell’Istituto Mario Negri che sta sperimentando una nuova procedura per la diagnosi precoce del tumore ovarico sieroso di alto grado che utilizza il Pap test ma impiega nuove tecnologie di sequenziamento del Dna».

Una sintomatologia molto aspecifica caratterizza il tumore ovarico, spesso confondente, e un solo fattore di rischio riconosciuto: l’ereditarietà.

«In un 30% circa di pazienti questo tumore è ereditario, dovuto a una mutazione germinale oppure soltanto somatica dei geni BRCA1 e BRCA2 – dice Domenica Lorusso, Ginecologia Oncologica, Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS Università Cattolica Sacro Cuore Roma – avere questa mutazione rappresenta un importante fattore di rischio per la malattia. Grosso modo, nell’altro 70% dei casi questo tumore è sporadico, quindi, insorge in assenza di cause ereditarie specifiche. È probabile che nel giro di qualche anno questi numeri si assottiglieranno lievemente e il 30% guadagnerà terreno perché oggi sappiamo che accanto ai più conosciuti geni BRCA1 e BRCA2, esiste tutta un’altra serie di geni che possono contribuire all’ereditarietà del tumore ovarico. Si sta cercando di identificarli e più si conosce da questo punto di vista più probabilità avremo di mettere in atto l’unica forma di prevenzione ad oggi possibile per questa malattia, quella di identificare le donne portatrici della mutazione e proporre delle strategie di riduzione del rischio prima che la malattia insorga».

Essere portatrici di queste mutazioni non equivale a ereditare o ad avere un tumore ma ad avere un rischio maggiore di sviluppare alcune neoplasie, rispetto alle persone non mutate. Attraverso il test genetico è possibile sapere, quindi, se si ha una familiarità o una predisposizione genetica ereditaria al tumore ovarico.

«L’esecuzione del test per l’identificazione del gene BRCA mutato ha un enorme impatto in termini di predittività, quindi di risposta terapeutica e di appropriatezza dei percorsi clinici – sottolinea Ornella Campanella, Presidente di aBRCAdabra – un tumore BRCA risponde ad alcune terapie farmacologiche in modo diverso rispetto ad un tumore ovarico non associato a una mutazione genetica. Quindi, la scelta del trattamento terapeutico target può fare la differenza per la paziente. Inoltre intercettare un primo caso in famiglia consente di mettere in sicurezza i consangunei positivi. Si crea un effetto domino su tutta la famiglia che consente quindi di poterli far accedere a percorsi personalizzati di prevenzione, che per una persona sana significa accedere al test genetico e poi, qualora fosse positiva, di sottoporsi alla chirurgia di riduzione del rischio o a un protocollo di sorveglianza stretta sia per il tumore dell’ovaio che per il tumore della mammella».