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Dall’altra parte: quando il medico si ammala

Dall’altra parte: quando il medico si ammala

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Di Giuseppe Ruggeri

 

Cosa si prova davvero a stare “dall’altra parte”? Un medico, abituato a svolgere la sua attività spostandosi da una corsia all’altra bardato di camice e fonendo, cosa prova nel ritrovarsi in un letto, indifeso e impaurito, pronto ad essere sottoposto a cure e trattamenti che egli stesso è solito prescrivere ai suoi pazienti?

Io credo che questa esperienza sia toccata un po’ a tutti noi e che ciascuno l’abbia vissuta ovviamente a modo proprio. Una nota comune potrebbe tuttavia essere rappresentata dalla nostra tendenza, quantomeno subliminale, di interferire con il terapeuta, di contrapporre le nostre alle sue scelte, continuando così a fare i medici anche se ormai siamo diventati dei pazienti.

Quanto a me, io la mia vicenda personale ho deciso di affrontarla consegnandomi con fiducia nelle mani dei colleghi – uno in particolare – pur consapevole dei rischi che ogni procedura medica prevede. Non è stato facile ma sarebbe stato certo più difficile, almeno per me, rinunciare alle cure o comunque pretendere di poter dire la mia sull’argomento. Ho sempre avuto rispetto per le diverse professionalità specialistiche ma soprattutto per i ruoli. Sono un medico, è vero, ma nella fattispecie ero e rimanevo un paziente. Con le dovute implicazioni del caso, prima tra tutte la necessità di adeguarsi alle disposizioni che i miei colleghi avessero voluto assumere a riguardo.

I pazienti, i miei nuovi colleghi, li ho sentiti così “diversamente vicini” rispetto al tempo in cui mi interfacciavo con loro nella mia veste di medico. Forse ho colto in loro qualche criticità in più, una tra tutte il bisogno di sentirsi continuamente tutelati anche e specie dal personale paramedico. Fragilità vecchie e nuove venute a galla in un momento di assoluta precarietà mi hanno rafforzato nell’intenzione di esplorare sempre più a fondo lo stato d’animo dei malati.

Probabilmente ho snocciolato un rosario di luoghi comuni, ma questa è stata la mia esperienza, l’esito della quale è una pagella ideale che promuove a pieni voti la nostra tanto vituperata sanità pubblica.

Una conquista di civiltà di cui ritenerci fortunati e orgogliosi.