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Preservazione della fertilità nelle pazienti con tumore al seno

Preservazione della fertilità nelle pazienti con tumore al seno

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di Luisa Barbaro

Ogni anno in Italia, si ammalano di cancro 169 mila donne, di cui il 3%tra i 18 e i 39 anni, dunque circa 5000 ogni anno devono confrontarsi con un tumore in età riproduttiva, da trattare, nella maggior parte dei casi, con chemioterapia, potenzialmente tossica per la funzione ovarica.

Nell’attuale sistema sociale si rileva un progressivo spostamento in avanti dell’età della prima gravidanza (in donne oltre i 35 anni, sta passando dal 12% del 1990 al 25% previsto nel 2025), per cui al momento della comparsa di un tumore, molte donne non sono ancora diventate “mamma”.

Nello stesso tempo si osserva un sensibile aumento di tumori in età giovanile e la conseguente possibilità di eseguire chemioterapie nel periodo della fertilità, che così verrà compromessa.

Oggi dunque si parla di “oncofertilità” per definire una nuova disciplina frutto dell’intersezione tra oncologia e medicina della riproduzione umana, che si propone di preservare la fertilità e ritardare la menopausa in donne sottoposte a trattamenti oncologici.

Nelle Brest Unit, cioè nei centri di Senologia multidisciplinari per la prevenzione e la cura del tumore al seno, tutte le giovani donne che intendono preservare la loro fertilità (le statistiche dicono che la metà opta per la preservazione) al momento della diagnosi, vengono inviate ad un servizio di counseling presso un centro specializzato collegato, per poter scegliere in tempo e adottare un atteggiamento attivo di fronte alla malattia, senza correre il rischio di ritardare l’inizio delle cure oncologiche.

Tecniche farmacologiche e crioconservazione, permettono di ripristinare quella fertilità interrotta col trattamento chemioterapico e radioterapico.

Tali tecniche sono:

1)Crioconservazione degli ovociti, che prevede il prelievo degli stessi previa stimolazione ormonale, indicata in pazienti con una buona riserva ovarica per arrivare al recupero e congelamento degli ovociti idonei, prima di trattamenti chemioterapici.

2) Crioconservazione del tessuto ovarico con prelievo di frammenti per preservare sia la fertilità che l’attività endocrina dell’ovaio;

3) protezione ovarica farmacologica che prevede, in concomitanza dei trattamenti antitumorali, la possibilità di utilizzare farmaci (analoghi del LHRH) in grado di proteggere le ovaie, mantenendone la funzione ormonale.

La sperimentazione iniziata nel 2003, è italiana ed è stata condotta dall’IST di Genova su 281 donne al di sotto dei 40 anni con tumore al seno, candidate a chemioterapia e quindi a menopausa precoce indotta. Tale studio ha dimostrato che le pazienti trattate con analoghi del LHRH, hanno un rischio di sterilità dimezzato.

Importante è il ruolo dei Ginecologi, “sentinelle sul territorio”, che devono svolgere campagne educazionali e di informazione ai giovani sulla prevenzione, spiegando come il patrimonio riproduttivo non è infinito né invulnerabile e va incontro a riduzione a seguito di fattori quali MST e stili di vita. La fecondità nella specie umana è massima tra i 20 e i 30 anni, dimezzata a 35; a 38 anni e a 40 si riduce rispettivamente ad un quarto e a un decimo rispetto ad una donna di 30.

Su proposta del Ministero della Salute, le linee progettuali regionali prevedono la tutela della fertilità e della funzione ormonale nelle giovani donne affette da neoplasia o malattie croniche degenerative, attraverso biobanche del tessuto ovarico e delle cellule germinali.