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Slow food: la provola

Slow food: la provola

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Aneddoti e curiosità

Il formaggio in Sicilia ha una storia che risale alle esperienze dei Fenici, documentate dagli storici che descrivevano questa terra come abitata da pastori che oltre a produrre latte avevano acquisito le tecniche della sua trasformazione e di preparazione di formaggi pecorini. L’Odissea racconta di Polifemo occupato a produrre latte e trasformarlo in cacio. Più recentemente Plinio il Vecchio racconta l’esportazione del caprino di Agrigento a Roma (Naturalis Historia). Ancora oggi la maggior parte produzione casearia in Sicilia è rimasta legata a microproduzioni artigianali che scongiurando l’industrializzazione del prodotto ne hanno garantito e perpetrato l’antica tradizione attraverso attività imprenditoriali di tipo familiare che rappresentano una importante fonte di reddito per le comunità montane di cui fanno parte. Da qui si sviluppano importanti collegamenti sinergici con la natura dei luoghi, la cultura del territorio, l’arte e le tradizioni popolari contribuendo allo sviluppo turistico di quelle zone.

Nel territorio dei Nebrodi e delle Madonie si produce tradizionalmente un formaggio di derivazione vaccina caratteristico da tempi immemorabili di questi luoghi. Il nome originario assegnatogli era di “caciocavallo” poiché dopo la salatura per l’essiccazione e la relativa maturazione, veniva conformato a goccia e legato in coppia appeso con un filo di rafia ad una asse di legno: coppie pennule. L’origine del nome provola pare sia più recente e sembra sia legato alla prova che il casaro attua, nel corso della lavorazione, della pasta acidificata per valutare se è pronta per la filatura.

Buono, pulito e giusto

In Sicilia ci sono due presidi Slow Food legati alle provole, quello della provola dei Nebrodi e quello della provola delle Madonie, quest’ultima un po’ più schiacciata e panciuta. Le due provole si producono quasi nello stesso modo, si parte unendo il latte vaccino della mungitura serale del giorno precedente con quella della mattina successiva, quindi si aggiunge del caglio di capretto o di agnello. Una volta rassodata la massa viene rotta con la “ruotola” un attrezzo di legno che consente di ridurre il coagulo in granuli della grandezza di chicchi di riso. A questo punto la cagliata viene separata dal siero che servirà successivamente a fare la ricotta. La cagliata separata viene estratta e sistemata ad asciugare dal siero e rimane coperta da un panno a spurgare e acidificare per circa 24 ore. La cagliata viene quindi tagliata a fette e lavorata in un contenitore di forma tronco-conica detto “Piddiaturi” e poi ricompattata con un sapiente lavoro detto “ncuppatina”, che è un procedimento manuale che dà alla provola la tipica forma a pera. A questo punto la provola viene messa prima in acqua e poi in salamoia almeno per un giorno. Dopo di che si procede alla stagionatura che avviene, da poche settimane a qualche mese, come sopra descritto “a cavallo di una trave”. Una versione molto particolare è la provola al limone. Durante la lavorazione a volte viene inserito un piccolo limone verdello, che durante la stagionatura rilascia gli oli essenziali presenti nella buccia, profumando la provola in modo gradevole, ma non invasivo, con tenui sentori di limone. Una produzione caratteristica dei Nebrodi sono i caci figurati (i cascavaddi), che gli abilissimi casari realizzano dalla stessa pasta della

provola dando forme particolari di cavallucci, cerbiatti, capre ed altri animali e che diventavano regali in occasioni di compleanni o feste religiose.

Proprietà organolettiche

Le provole dei Nebrodi e delle Madonie dei presìdi Slow Food, essendo realizzate con latte crudo, risentono molto del periodo in cui sono state fatte, le migliori provole sono quelle del mese di maggio, in cui le vacche si sono nutrite in pascoli ricchi della biodiversità dei monti Nebrodi e delle Madonie. Le dimensioni delle provole variano secondo le località in cui vengono prodotte, quelle che stagionano meno sono piccole, al contrario di quelle destinate alla stagionatura di diversi mesi che alcune volte raggiungono oltre i 5 kg di peso e che si producono prevalentemente sui Nebrodi. Quando la provola viene consumata fresca a poche settimane dalla sua produzione, ha un gusto dolce e piacevolmente acido. Le provole che stagionano alcuni mesi, vengono definite sfoglie, perché alla loro apertura si presentano sfaldate. Il gusto diventa leggermente piccante ed il sapore decisamente più intenso. La provola sfoglia ben si abbina con il miele di ape nera sicula, prodotto sia sui Nebrodi che sulle Madonie. Altro modo di presentare la provola, soprattutto quelle delle Madonie, è la provola affumicata.

In cucina

La stagionatura della provola le conferisce un gusto dolce e talora leggermente piccante che ne fa apprezzare la degustazione “in purezza” tal quale. Ma il sapore deciso che le conferisce la stagionatura ne consente una degustazione dopo “scottatura alla piastra” o come ripieno di lavorati di carne (falso magro) o di piatti a base di pasta (timballo di anelli siciliani), riso o focaccia cucinate al forno, dove la caratteristica filante contribuisce a dare una immagine accattivante associata al gusto.

Ricetta:

PROVOLA ALL’ARGENTIERA

Ingredienti per 4 persone

Otto fette di provola dei Nebrodi o delle Madonie di circa 50g

Olio EVO q.b.

Aglio due spicchi

Aceto q.b.

Origano un pizzico

Preparazione: una padella adeguatamente larga si soffrigge l’aglio nell’olio. Nell’olio caldo vengono quindi poste le fette circa mezzo centimetro di provola stagionata facendole rosolare a fuoco basso per qualche minuto a cui va aggiunto, alla fine della cottura, l’origano e alcune gocce di aceto. Si servono in un piatto da portata o adagiate su crostoni di pane.