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Da progetto riabilitativo a progetto esistenziale: verso una “patafisica” del capriccio?

Da progetto riabilitativo a progetto esistenziale: verso una “patafisica” del capriccio?

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di Valentino Sturiale

Pillola rossa o pillola blu? Vivere o Esistere?

Diventa sempre più difficile definire il significato stesso di riabilitazione e diventa conseguentemente necessario definire ambiti e contesti per sviluppare nuove metodologie come i progetti esistenziali e di vita (cfr. Paolo Cendon, Ass. Diritti in Movimento, www.personaedanno.it).

La “riabilitazione” comunemente intesa come il percorso di (ri)acquisizione dei diritti di cittadinanza si basava essenzialmente sull’asse “lavoro” come fonte per rigenerare skill di adattamento sociale.

Ma la fonte si è inaridita nel nuovo millennio non avendo più la potenza calvinista/weberiana né “sovietica” di assicurare certezze e sicurezze sociali: il lavoro stesso ormai si configura come un ambito di incertezze e di insicurezze quantomeno stressante sia sul piano esistenziale che su quello della remunerazione economica. La parola lavoro ha perso semioticamente le nobili connotazioni e denotazioni che la caratterizzavano: avere un lavoro non significa più automaticamente né avere un reddito adeguato né un ruolo e una dignità sociale conseguente. Il reddito universale, di cittadinanza è una realtà consolidata che ha dimostrato tutta la sua utile necessità nella lotta alle povertà vecchie e nuove.

Di cooperazione sociale che era lo strumento prevalente, diventa difficile anche parlarne, viste le degenerazioni e gli scandali che questo sistema ha dovuto subire negli ultimi anni.

La progettazione del reinserimento sociale di una persona fragile necessita di nuovi riferimenti, nuovi significati e nuove metodologie. Primo aspetto è il rapporto con la realtà e con quale realtà: si può “vivere” ma non esistere.

Per Jean Baudrillard, sociologo, filosofo “patafisico” (la sua opera “simulacri e simulazione” ha ispirato la trilogia del film Matrix, ma è un accostamento che il sociologo ha criticato in più punti) la società moderna è caratterizzata dall’iperrealtà:

“Immagini, segni codici determinano infatti le identità degli individui e il modo di relazionarsi agli altri; la realtà intorno a noi si è dissolta, o amplificata, in una iperrealtà dove il sistema di segni sostituisce la fisicità delle merci e le dissocia per sempre dai bisogni al cui soddisfacimento avrebbero dovute essere finalizzate. Il consumatore (noi tutti) vive/viviamo come in un Truman Show che riproduce/falsifica/amplifica la realtà; in una gigantesca bolla che il sistema mediale e degli oggetti ha costruito come simulacro della realtà (cit. Giampaolo Fabris)”.

Elaborando una nuova teoria del consumo Jean Baudrillard lo definisce non soltanto mero atto di acquisto e di soddisfazione di bisogni, ma anche e soprattutto come “dépense“ (lett. spesa, dispendio), ossia come “ricchezza manifestata e come distruzione manifesta di ricchezza“. Spiega così, anche in altre successive opere quali “La società dei consumi”, come il nuovo motore della società non sia più la produzione bensì il consumo delle merci, diventato ormai lo strumento principale di manifestazione di vitalità e di sovranità del soggetto. Non è più il processo economico-razionale di soddisfazione di bisogni a muovere l’economia contemporanea, quanto piuttosto un processo sociale di “distruzione del valore economico in vista di un altro tipo di valore. Il consumatore non si riferisce più all’oggetto nella sua utilità specifica ma ad un insieme di oggetti nella loro significazione totale”.

Con il mero consumo di beni completamente slegato dai bisogni, l’uomo ora si realizza e si sente realizzato. La sua felicità è raggiunta comprando e consumando beni. “Il consumatore è un lavoratore che non sa di lavorare”.

Siamo lontani dalle teorie economiche marxiste ma anche dalla “negotiorum gestio” dei latini e dalla concezione del “dono” di Marcel Mauss, che mantengono obblighi e vincoli, ci avviciniamo piuttosto al “potlach” cerimonia dei nativi americani dove “attraverso il Potlatch (fonte Wikipedia) individui dello stesso status sociale distribuiscono o fanno a gara a distruggere beni di valore per affermare pubblicamente il proprio rango o per riacquistarlo nel caso lo abbiano perso. Contrariamente ai sistemi economici mercantilistici, infatti, nel Potlatch l’essenziale non è conservare e ammassare beni, bensì dilapidarli. La logica dell’economia di mercato è quindi completamente invertita. La pratica del Potlatch è stata dichiarata illegale in Canada e negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo principalmente a causa della pressione dei missionari e degli agenti del governo che la consideravano “un’abitudine più che inutile”, sostenendo che fosse dispendiosa, improduttiva e contraria all’etica del lavoro e ai valori delle società americane e canadesi. Il Potlatch ha da sempre affascinato studiosi e scrittori, diventando recentemente un modello anche per il movimento “open source” e altri movimenti sociali”.

L’ottica per mettere a fuoco la realtà si sovverte da una analisi socio-economica dei consumi a una sorta di “patafisica del capriccio” come a prima vista potrebbe sembrare se non fosse in gioco l’esistenza degli individui, e la stessa qualità della vita almeno dei più esposti e dei più fragili.

La patafisica è l’ipotetica «scienza delle soluzioni immaginarie» (secondo la definizione datane dal suo inventore, A. Jarry, in Gestes et opinions du docteur Faustroll, pataphy sicien, postumo, 1911), fondata sul principio dell’equivalenza universale e della conversione dei contrari, e intesa allo studio delle «leggi che regolano le eccezioni»; parodia del pensiero metafisico (il termine pataphysique deriva dal greco ἐπί e μετὰ τὰ ϕυσικά, per indicare la scienza di ciò che si sovrappone alla metafisica – fonte Wikipedia).

Quindi progettare su una vita se diventa progettarne anche sull’esistenza nell’iperrealtà con la quale si deve poter confrontare, non può prescindere dal “capriccio” e dalla  “dépense“ almeno in parte.

Nei progetti riabilitativi i gradi di libertà sono delimitati da norme, delibere, linee guida che regolano il finanziamento più del funzionamento: si richiede spesso ai soggetti di essere più normali dei normali prescindendo dai desideri che non sempre sono banali “capricci” ma, come abbiamo visto, segnali della necessità di poter esistere nella iperrealtà dove ”…l’idea di libertà, idea nuova e recente, sta già scomparendo dai costumi e dalle coscienze, e la mondializzazione liberale sta per realizzarsi in forma esattamente inversa: quella di una mondializzazione poliziesca, di un controllo totale, di un terrore sicuritario. La deregulation finisce in un massimo di vincoli e restrizioni, equivalente a quello di una società fondamentalista” (Jean Baudrillard).

Se è vero che la libertà è terapeutica, il progetto esistenziale deve allontanare anche l’idea del manicomio (negazione dell’esistenza ma non della vita biologica): talvolta il progetto riabilitativo tende a diventare un controllo istituzionale, una camicia di forza che limita la libertà e la stessa declinazione esistenziale del soggetto.

La forma (quasi pirandelliana) progettuale può essere sostituita da un contesto contrattuale che assicurerebbe al titolare (insieme con familiari, referenti socio-sanitari, amministratore di sostegno, caregivers e tutti gli stakeholder) i gradi di libertà, la centralità e la sovranità che civilisticamente hanno i titolari di contratto (modifica, adeguamento, recesso etc.) sia nei diritti che nei doveri.

La metodologia del Budget di Salute si può adattare efficacemente ai nuovi contesti: sull’asse del diritto all’abitare per alleggerire la residenzialità in piccole realtà abitative flessibili ed adeguate ai bisogni (ma anche ai “capricci”) di piccoli gruppi di utenti evitando mega-strutture residenziali che distolgono risorse autoreferenzialmente; sul piano “lavorativo” per non imporre le solite attività da impresa sociale (pulizie, giardinaggio, manutenzioni etc) ma per assecondare aspirazioni e “vocational aptitude” anche soltanto sul piano formativo; sul piano relazionale per dare libero accesso a relazioni simmetriche ed adeguate al contesto anche mediate da social network e software di comunicazione audio-visiva, per affiancare/sostituire alla “riabilitazione” una educazione alla resilienza, una “ortopedia dell’Io” (cit. Claude Olievenstein) che salvaguardi il rapporto tra il soggetto fragile e la realtà/iperrealtà senza troppe limitazioni – non negoziate contrattualmente – che possono diventare una violenza che talvolta genera violenza.

Criticando Matrix Jean Baudrillard sottolinea che nel film “i personaggi o sono nella Matrice, cioè nella digitalizzazione delle cose, o sono radicalmente al di fuori, cioè a Zion, la città di coloro che resistono. In effetti, sarebbe interessante mostrare ciò che accade nel punto di giuntura dei due mondi. (…) Lo pseudo-Freud che parla alla fine del film lo dice: a un certo punto si è dovuta riprogrammare la Matrice per integrare le anomalie nell’equazione. E voi, gli oppositori, ne fate parte”.

E quindi Neo, protagonista di Matrix, se vuole il cambiamento 2.0, deve evitare che idee e strumenti innovativi diventino integrazioni e supporti del sistema da cambiare. Nei momenti di crisi innanzitutto.