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Questioni di lingua: trentesimo appuntamento

Questioni di lingua: trentesimo appuntamento

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di Carmelo Micalizzi

Toponomastica del Valdemone

Nomi e Territorio*

Parte prima: I Promontori

Dando alle stampe, nel 1709, La Sicilia in Prospettiva ovvero la tabulazione delle Città, Castelli, Terre e Luoghi esistenti e non esistenti in Sicilia, la Topografia Litorale, gli Scogli, Isole e Penisole intorno ad essa, l’erudito gesuita Giovanni Andrea Massa dedicò particolare riguardo alla trascrizione dei nomi di luogo.

Proficua fu pure la curiosità per i toponimi dei padri della geografia storica siciliana, da Tommaso Fazello (1498-1570) a Rocco Pirri (1577-1651), ad Antonio Mongitore (1633-1743), a Vito Maria Amico (1697-1762), a Francesco Maria Gaetani (1740-1802). Solo più tardi, nel XIX secolo, la toponomastica cominciò a definirsi materia di studio di riguardo: al 1870 risalgono gli studi di Isaia Ascoli e di Giovanni Flechia. 

L’introspezione moderna della toponimia siciliana, a parte i propedeutici contributi di Michele Amari (Biblioteca Arabo Sicula, 1857-1877), fu avviata, tra il 1888 e il 1898, da Corrado Avolio. Sono ben successivi gli interventi di Giovanni Alessio sull’elemento pre-greco, greco e bizantino dell’isola pubblicati tra il 1946 e il 1956 e gli studi di Gerhard Rohlfs, “archeologo delle parole”, in ambito grecanico nel territorio del reggino e nel Valdemone. L’elemento arabo isolano fu curato, in massima parte, tra il 1972 e il 1989, da Giovan Battista Pellegrini mentre è ancora più vicino il repertorio storico e etimologico curato da Girolamo Caracausi (1994) sugli arabismi siciliani. 

Preme rilevare come gli studi dei citati letterati, che alla toponomastica hanno dedicato gran parte del loro tempo, siano stati fondamentali per la stesura di queste pagine. Tracciare una soddisfacente mappatura, anche un breve commento sui nomi di luogo della regione fisica del Valdemone, la cuspide nord orientale dell’isola dal flumen Thermini al Simeto, per naturale costrizione di spazio, non è semplice. Ci si limita pertanto a raccogliere alcune note di lettura toponomastica, come eventuali approfondimenti da svolgere in tre diversi momenti: i nomi dei promontori, dei fiumi e dei monti. 

Riguardo i nomi dei promontori, gli acroteri dei litorali, le punte di terra lette come penisole (“quasi isole”):

Peloro, (capo) deriva dal latino Pelorus, dal greco antico Peloris, ‘mostruoso, prodigioso, abissale, di enorme grandezza’, di incerta lettura. Verosimile è il riferimento ai fenomeni, enfatizzati dalla cultura classica, delle acque, in qualche tratto abissale, del fretus siculi, lo scillaecariddi di orciniana memoria;  

Faro (capo) attiene al precedente toponimo, con la sua torre strategica per il controllo dello Stretto di Messina già in età romana, raffigurata nella monetazione coniata sotto Sesto Pompeo (I sec. a.C.). Da capo Faro iniziavano le strade consolari, perno della viabilità isolana in epoca romana: Pompea e Valeria, per Siracusa e per Lilibeo (Strabone, I sec. d.C.); 

Braccio di S. Ranieri è lo stesso porto di Messina. Le sue tante lezioni sono propedeutiche e compendio alla storia della città: Promonthorium, Istmo, Brachium sancti Rayneri, Lingua Phari, Insula S. Hiacynthi, “prato S. Hiacynthi qui vulgo dicitur Lingua S. Nicolai, Lingua di S. Placido, Braccio del SS. Salvatore (R. Pirro 1644; V. Amico 1743), per la presenza dell’influente monastero basiliano;

Rasocolmo (capo) è velata tautonomia dall’arabo ras ‘capo’ e dal siciliano curmu ‘cima, vetta’, quasi ‘capo dal picco montuoso’, Rasocolmo era già Falàcrio acron, letteralmente ‘capo calvo’, ovvero ‘spoglio, glabro, privo di vegetazione’, sede di un’antichissima torre di segnalazione presente nella Geografia di Tolomeo compilata nel I sec. d.C, 

Milazzo (promontorio) ha un’etimologia poco definita. La lettura è forse legata al fiume Mela che fino al XVI secolo sfociava nel porto naturale della città e che caratterizza, ancora oggi, l’idrografia del versante tirrenico dei monti Peloritani. Si discute pure di una possibile derivazione dal nome milax, ‘macina’, nell’accezione di luogo dove si estraggono le macine, attraverso il bizantino mulas e l’arabo milas;  

Tindari (promontorio), imminente ai laghetti di Marinello, prende il nome dalla città fondata dal siracusano Dioniso I (396 a.C.) che le attribuì il nome dell’eroe eponimo, mitico re di Sparta e padre putativo di Elena e dei Dioscuri, Castore e Polluce. Oggi è sede del grande culto per la ‘Madonna nera’;

Calavà (capo) è di etimo poco chiaro forse conducibile al greco tardo ta Kàbala, ‘i cavalli’ (G. Alessio, 1956) con influsso dei toponimi in –às che ribadiscono l’astrazione di abbondanza oppure da confrontare con il calabrese calavò (dal greco kolabòs) ‘mutilo’ nell’accezione pertanto di promontorio franato, crollato; 

Inconsueta è l’etimologia di Capo d’Orlando, un tempo Agatirno,di radice linguistica alto medioevale, dal nome personale Orlando, nebbioso riferimento a uno dei protagonisti del ciclo letterario carolingio;

Cefalù (capo), oronimo del Valdemone oggi di giurisdizione palermitana, rimanda al greco classico kefàle ‘testa, capo’ in senso geomorfico anche promontorio, attraverso il greco tardo Kefaloidon, il latino Chephaloedium e il greco medievale Kefaloùdion con il significato di ‘promontorio a forma di testa’; 

Sul versante ionico Scaletta (capo) spiega la toponimia tardo greca e poi araba dei promontori siciliani dell’alto Ionio poiché traduce l’accezione di ‘scala, declivio a gradini erto e rupestre, scavalcamento di cresta collinare, passaggio da un versante ad un altro’, nella lezione del geografo Edrisi (XII sec.) ad-Daragiat as-Saghirah, la ‘piccola scala’, giusto capo Scaletta a cui si riconduce ad Daragiat al-Wusta il ‘gradino di mezzo’, l’attiguo Capogrosso, capo Alì. Questo prelude alla ‘grande scala’, quella Schala Sancti Alexxji citato nei diplomi ruggeriani già Árghennon àcron, il capo ‘argenteo’ di Tolomeo (I sec. d.C.), oggi noto con l’agiotoponimo capoCapo Sant’Alessio;     

Taormina (capo) da Tauro, ‘monte’, è infine voce, relitto del sostrato mediterraneo, attraverso il latino Tauromoenium. La città fu fondata dai naxioti nel IV sec. a.C. su di un pianoro del monte Tauro che da questo prende nome. Il promontorio si eleva sopra Schisò (capo), dal greco antico Nàxos, con incerta evoluzione fonetica attraverso al-Qusus di Edrisi.                    

*C. Micalizzi, Nomi e Territorio. Appunti di Toponomastica in Valdemone a cura di S. Todesco, in «Paleokastro», rivista trimestrale di studi sul territorio del Valdemone, a. V, n. 18/19, maggio 2006, Palermo 2006, pp. 17-20

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