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Kabul come Ground Zero

Kabul come Ground Zero

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di Giuseppe Ruggeri

C’è una disperata rassegnazione nel gesto di quella moltitudine scomposta di afghani che, mentre l’aereo militare USA decolla, tentano di appigliarsi alla carlinga. Potrebbero – come effettivamente è avvenuto – precipitare tutti nel vuoto ma sanno bene che restare a terra, nella loro situazione, equivale a una condanna definitiva di morte.

C’è in quel gesto estremo che nella sua tragicità evoca la finzione dei film americani con i loro supereroi a buon mercato, da “mission impossible”, una sconvolgente consapevolezza di morte che tuttavia non toglie un sia pur minimo spiraglio all’illusione di salvezza. Un’illusione racchiusa nella promessa di due ali d’acciaio che stanno spiccando il volo verso la speranza.

Guardando quei pochi secondi di video trasmessi da una testata online, il mio pensiero riandava alle scene, ugualmente tragiche, dell’11 settembre 2001. Le Twin Towers di New York ridotte ormai a due immense torce che si consumavano rapidamente, e, con esse, consumavano quelle migliaia di esseri umani che vi stavano dentro. Case, uffici, luoghi di rappresentanza inondati dalle fiamme non lasciavano scampo ai malcapitati che, a quel punto, potevano solo prefigurarsi una fine imminente quanto atroce.

Alcuni di quei malcapitati, a un tratto, decidevano tuttavia, e inaspettatamente, di giocarsi il tutto per tutto, iniziando così a lanciarsi dalle finestre dei due grattacieli che bruciavano.

Chi, come me, vi ha assistito, credo mai potrà dimenticare l’immagine di tutti quei puntini neri animati precipitare nel vuoto, nella fuga disperata dalla realtà che stavano vivendo, nello sforzo sovrumano di opporre all’inevitabilità della fine l’ultimo tentativo di trarsi in salvo.

Kabul come Ground Zero, palestra di dolore e di eroismo estremo perché si può sfidare la morte anche e specialmente andandole incontro, con quella nobiltà di spirito e il disprezzo della paura che appartengono solo agli uomini veri. Coloro i quali hanno attraversato la vita così a fondo da penetrare, e risolvere, il suo mistero più fitto. L’ostinazione.