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La tristezza nell’autismo

La tristezza nell’autismo

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di Emidio Tribulato

È questo uno dei sentimenti più frequenti nei bambini che presentano sintomi di chiusura autistica. La tristezza traspare spesso dal loro viso trasognato, dai loro occhi, dai loro racconti. Alcuni genitori, più sensibili e attenti, avvertono costantemente nei loro bambino segnali di tristezza. Diceva una mamma, riferendosi al figlio: ‹‹Sembra che la tristezza se la porti dietro per ogni cosa che fa o che dice››.

 Il racconto di Simone, un ragazzo di tredici anni, affetto da sindrome di Asperger ci dà conferma di questo mondo interiore triste, oltre che sconvolto da emozioni e sentimenti negativi: ansia, sfiducia negli altri, nel mondo ma anche in se stessi, paure.

Dopo aver disegnato un omino con colori scuri e grigi, fa questo racconto:

‹‹Questo ragazzo si chiama Mattia. Ha circa trentadue anni, è molto problematico, soprattutto all’interno della sua famiglia, perché il padre era quasi sempre assente. Aveva l’amore per la musica metal. Cominciò a vestirsi come un Emo per rispecchiare ciò che aveva vissuto nella sua famiglia, quindi si vestiva di nero, per riflettere la sua tristezza e la sua asocialità. Poi si appassionò al canto e riesce ad entrare in una band che stava nascendo e suonava la batteria. Diventano il primo gruppo italiano conosciuto nel mondo per il loro genere musicale. Dal quarto disco in poi la sua vita inizia a migliorare. Impara a essere una persona felice con se stessa. S’innamora della tastierista, si fidanzano e si sposano. La chitarrista della band muore e il gruppo si scioglie e ognuno va per la sua strada. Lui inizia a suonare un genere musicale suo e la vita andrà per il verso giusto e avrà anche un figlio››.

In questo racconto Mattia[1] si vede più grande della sua età, ma sempre con i suoi problemi di autismo, che egli collega alla scarsa presenza della figura paterna nella sua vita.

Non amando la scuola, vede il suo futuro come un artista triste e asociale. Immagina e sogna tuttavia di riuscire a essere una persona felice con sé stessa e così innamorarsi e sposarsi.

Lo stesso ragazzo, in seguito agli interventi terapeutici, fa un racconto ricco di sentimenti più ottimistici.

‹‹C’era una volta un contadino, un uomo molto solo, aveva una fattoria ma ha sempre voluto avere un figlio, ma non aveva moglie. Cercò di trovare una soluzione per avere un figlio. Decise di prendere vari sacchi di iuta e una specie di palla di gomma per fare il naso, due quanti neri per le mani; come vestito usò una salopette blu. Incominciò ad impaciare i sacchi con i quali fece il corpo, li cucì, e poi gli fece due fori nella testa per fare gli occhi e un foro per la bocca. Inizialmente era ovvio che il pupazzo non prendesse mai vita, però decise di tenerselo in quel modo. Però una notte, grazie al suo desiderio, il pupazzo prese vita e incominciò a parlare e a provare amore nei confronti di suo padre. Da quel momento ebbe una persona con cui potere fare una vita felice››.

Se interpretiamo questo racconto notiamo come il tema del padre sia prevalente. Nel racconto precedente egli diceva che i suoi problemi erano dovuti a un padre poco presente. In questo racconto invece egli prova a riscattare la figura paterna. Invece di un padre assente vi è un contadino, un uomo semplice, povero, solo ma con un gran desiderio di avere un figlio. Tanto che se lo costruisce da sé, con dei sacchi di iuta riempiti di paglia.  Purtroppo, però, questo figlio costruito con la paglia è senza vita, come spesso il ragazzo si sentiva: senza emozioni e senza sentimenti positivi. Per fortuna grazie all’amore paterno si compie il miracolo: questo figlio prende vita, parla ed è ricco di sentimenti e di amore. Entrambi, padre e figlio ora possono essere felici. 

Altre volte la tristezza è come nascosta e camuffata da comportamenti apparentemente indifferenti o ridanciani, che non rispecchiano affatto il loro sentire, ma che vengono attuati per far piacere agli altri o forse per cercare di combattere questo sentimento doloroso. I genitori notano inoltre in questi figli una difficoltà a distrarsi e a lasciare andare i pensieri negativi e ad avere, invece, pensieri ed emozioni positive.[2]

In definitiva dal caos emotivo che disturba gravemente i circuiti neuronali della mente di questi bambini, nascono direttamente o a causa di uno o più meccanismi di difesa che essi mettono in campo, i variegati sintomi che noi rileviamo e che con molta difficoltà cerchiamo di catalogare, senza tuttavia riuscire a dar loro un senso coerente. Poiché ogni individuo è diverso dall’altro, e ogni realtà esterna, con la quale ognuno di questi bambini è costretto a confrontarsi, è diversa dall’altra, le manifestazioni della sofferenza presente nei bambini con sintomi autistici non sono mai uguali, anche se qualche caratteristica comune, la possiamo rintracciare nel bisogno di attuare una costante difesa e chiusura in se stessi (autismo) nei confronti degli altri e del mondo che li circonda. Per fortuna quando gli adulti e soprattutto i genitori riescono a creare attorno al bambino un ambiente sereno e tranquillo e quando riesco ad costruire con lui, mediante un particolare tipo di gioco gestito dallo stesso bambino (gioco libero autogestito) un legame particolarmente forte, gioioso, intenso e piacevole il bambino riesce ad abbandonare la sua chiusura, così che può riprendere a crescere in tutti i settori nei quali era prima carente. [3]  


[1] Nome di fantasia.

[2] Franciosi F. (2017), La regolazione emotiva nei disturbi dello spettro autistico, Pisa, Edizioni ETS, p. 30.

[3] Tribulato E. (2013), “Autismo e gioco libero autogestito” Milano Franco Angeli Editore.