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“Messina tra macerie e incanti”: Il Museo della Fauna di Mauro Cavallaro

“Messina tra macerie e incanti”: Il Museo della Fauna di Mauro Cavallaro

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di Giuseppe Ruggeri

“Messina tra macerie e incanti” di Giuseppe Ruggeri, con prefazione a cura di Sergio Di Giacomo, è una raccolta di articoli, conferenze e introduzioni che l’Autore ha collazionato e stampato in proprio, per offrire ai lettori uno spaccato di vita cittadina ripercorso attraverso personaggi, libri ed eventi della sua storia. Ma anche attraverso i numerosi musei, presenti in città e dintorni, testimoni della memoria cittadina. Una memoria segnata da grandi catastrofi ma pure dalla tenace volontà di risorgere dalle proprie ceneri dopo ogni disastro.

Parecchie ancora, a Messina, le “macerie” di tante distruzioni, dietro le quali, però, occhieggiano altrettanti “incanti” che un occhio innamorato, come quello dell’Autore, non può non cogliere e far assurgere a simbolo dell’auspicato rinascimento di un’Urbe che fu un tempo – così come la definirono i nostri padri Latini – “civitas locupletissima”.


Il Museo della Fauna del Dipartimento di Scienze Veterinarie della nostra Università conduce da anni, bisogna dire eccellentemente, un paziente e appassionato lavoro di ricerca sui resti delle molteplici specie faunistiche succedutesi nel territorio messinese.

Fondato nel 2011 grazie all’intuizione di Filippo Spadola, docente di Chirurgia Veterinaria e pregevole naturalista, la struttura nasce come “laboratorio per lo studio di animali non convenzionali”.

La sezione paleontologica contiene reperti fossili ritrovati in gran parte nella grotta di S. Teodoro ad Acquedolci, sito preistorico noto a livello internazionale per la messa in luce, negli anni 1937-1942, di sette sepolture del Paleolitico superiore. I resti fossili documentano le diverse fasi dell’evoluzione geologica dello Stretto di Messina e suggeriscono l’esistenza, nel nostro territorio, di ambienti di vita simili a quelli attualmente presenti in alcune aree dell’Africa. Una particolare importanza riveste la collezione di resti di grandi mammiferi (elefanti e ippopotami) messa insieme dall’illustre naturalista Adolfo Berdar, proveniente

dalle cave di ghiaia e sabbia ancora presenti lungo la strada panoramica dello Stretto.

La sezione faunistica rappresenta una vera e propria “banca dati” della diversità animale siciliana; vi si conservano esemplari anche rari della fauna terrestre e marina dell’area dello Stretto. Al compito primario di conservazione dei vari materiali zoologici si affianca lo studio di tali materiali e quindi l’illustrazione dei risultati ottenuti, con correlata ricaduta formativa nella preparazione universitaria dei futuri medici veterinari.

Il Museo ha già ottenuto il riconoscimento di Istituzione Scientifica, concesso dalla Commissione Cites del Ministero dell’Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare. Molteplici le collaborazioni scientifiche (Natural History Museum di Londra, Università di Bristol, York, Oxford, La Sapienza di Roma). Gli studenti di ogni ordine e grado possono accedere ai locali del museo grazie a visite guidate che, oltre all’esposizione dei materiali, prevedono la realizzazione di attività pratiche grazie a una piattaforma sperimentale che simula uno scavo paleontologico vero e proprio.

Il Museo è coinvolto in diversi progetti di ricerca e recupero di collezioni naturalistiche e opera grazie al lavoro di un Comitato Tecnico Scientifico composto

di studiosi di vaglia internazionale.

Uno di questi studiosi, il quale è anche conservatore della sezione faune marine del Museo, è il messinese Mauro Cavallaro, dal 2014 a tutt’oggi conservatore del museo. Cavallaro, laureato in scienze naturali e scienze biologiche, è autore di oltre sessanta lavori scientifici pubblicati su riviste di tutto il mondo.

“C’è sempre molto lavoro e poche risorse cui attingere ma i risultati ottenuti fino a oggi dimostrano che i musei naturalistici devono essere al servizio della società e del suo sviluppo” spiega Cavallaro “concorrendo così al raggiungimento di una sostenibilità non tanto e con solo economica bensì individuale, sociale e ambientale”.

Un messaggio che fa ben comprendere come ogni comunità, a cominciare dalla nostra, non può davvero considerarsi tale se non ha coscienza della propria storia naturalistica, intesa come combinazione di biotipi che nel lungo arco dei secoli si sono equilibrati tra di loro per dar luogo a una catena, allentare anche uno solo dei cui anelli determina, di necessità, il crollo verticale del nostro intero ecosistema.