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“Messina tra macerie e incanti”: Mario Sarica e il “suo” Museo”

“Messina tra macerie e incanti”: Mario Sarica e il “suo” Museo”

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di Giuseppe Ruggeri

“Messina tra macerie e incanti” di Giuseppe Ruggeri, con prefazione a cura di Sergio Di Giacomo, è una raccolta di articoli, conferenze e introduzioni che l’Autore ha collazionato e stampato in proprio, per offrire ai lettori uno spaccato di vita cittadina ripercorso attraverso personaggi, libri ed eventi della sua storia. Ma anche attraverso i numerosi musei, presenti in città e dintorni, testimoni della memoria cittadina. Una memoria segnata da grandi catastrofi ma pure dalla tenace volontà di risorgere dalle proprie ceneri dopo ogni disastro.

Parecchie ancora, a Messina, le “macerie” di tante distruzioni, dietro le quali, però, occhieggiano altrettanti “incanti” che un occhio innamorato, come quello dell’Autore, non può non cogliere e far assurgere a simbolo dell’auspicato rinascimento di un’Urbe che fu un tempo – così come la definirono i nostri padri Latini – “civitas locupletissima”.


I suoni, si sa, sono l’anima di un popolo, la quintessenza del suo sentire. Custodirli nella loro originalità, tentando ossia di coglierne l’afflato primordiale, il loro cuore segreto, è compito di quei pochi che, per studio e passione, si sono dati alla difficile impresa di esplorarne l’intima scaturigine. Uno di questi studiosi appassionati è senza dubbio l’antropologo Mario Sarica, messinese ma cittadino del mondo, o per lo meno di quel mondo che riconosce ai suoni primordiali la straordinaria importanza che si deve a una delle più antiche e misteriose forme di umana espressione.

Tutto è cominciato in un villaggio, una delle tante sparse “forie” messinesi votate all’attività agropastorale, che ne costituisce la cifra identitaria meglio riconoscibile. Il villaggio è Gesso, l’antica “Ibus” così dai Latini epigrafata per le cave di gesso presenti, un pugno di case arroccate sulle sommità dei Monti Peloritani, fitto e delicato universo verde che sovrasta Messina. Ivi, correva l’anno 1996, Sarica inizia ad allestire nelle sale e gli ambienti esterni di un caseggiato di storica memoria le molteplici sezioni del suo Museo di Arte e Cultura Popolare dei Peloritani. Risalendo dagli insediamenti preistorici del luogo fino alle forme di civiltà contadina che vi fecero seguito, in armonica e coerente successione logico-cronologica.

Da etnomusicologo, la sua specialità, l’inventore di tanto originale e complessa struttura museale predilige da subito la strumentistica musicale, reperendo e collocando, conformemente alla loro evoluzione tecnica nel corso dei secoli, una straordinaria varietà di mezzi espressivi – flauti, cornamuse, scacciapensieri – che hanno accompagnato, negli anni, l’esercizio di vecchi ma mai scaduti mestieri. Umili mestieri che tuttavia, e forse proprio per questo, scrivono una delle più intense pagine di storia delle tradizioni in questo lembo orientale di Sicilia più conosciuto per i miti marini di matrice classica rispetto all’arte popolare che permea alle radici attività che si svolgevano – e continuano tuttora a svolgersi – nell’ombroso silenzio di quei luoghi.

Un’autentica “perla” identitaria il Museo di Sarica che riporta, come sempre dovrebbe essere, l’attenzione sull’impareggiabile bagaglio artistico ed esperienziale che ci proviene dalla cultura musicale popolare, contribuendo non poco a elevare il livello

del dibattito sull’urgenza di sdoganare, con tutti gli strumenti possibili (e non solo quelli musicali, ovviamente) tale tipologia di cultura dall’ipoteca di “minorità” dalla quale, da secoli, è gravata.

Lunga vita, dunque, a quest’altro “incanto” messinese.