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I sintomi di Covid-19 sono cambiati?

I sintomi di Covid-19 sono cambiati?

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di Rebecca De Fiore (PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE)

i sintomi di Covid-19 sono cambiati

Nel corso dei tre anni dall’inizio della pandemia, il modo in cui Covid-19 si presenta sembra essere cambiato. Nell’inverno del 2020 i primi sintomi comunemente segnalati erano la perdita dell’olfatto e del gusto: sintomi strani e molto originali, che ci aiutavano a capire subito che il contagio poteva essere avvenuto. Alla sintomatologia abituale si aggiungeva il respiro affannoso e la tosse, fino alle lesioni vascolari che venivano ovviamente diagnosticate in ospedale.

Da allora c’è stato un cambiamento nei sintomi e nelle manifestazioni spesso dettato dalle differenti varianti, e influenzato dall’evoluzione del virus stesso ma anche dai vaccini, dalle terapie e dalle infezioni concomitanti contratte da molti durante questi mesi [1].

Nel complesso, il risultato è stata una diminuzione dei ricoveri ospedalieri oltre a uno scenario differente nella manifestazione della malattia a livello individuale.

Come sono cambiati i sintomi di Covid-19? È vero che la perdita di olfatto e gusto non è più così frequente?

Secondo David Strain, della facoltà di Medicina dell’università di Exeter in Inghilterra, la perdita dell’olfatto e del gusto non è più così diffusa come un tempo. “È successo davvero all’epoca di Omicron”, ha spiegato al BMJ [1]. “Le sottovarianti BA.1 e BA.2 di Omicron sembravano migrare dai polmoni e dal tessuto nervoso alle vie aeree superiori. Il BA.1 per molte persone era poco più di un forte raffreddore”.

Nello stesso articolo uscito sulla rivista della associazione dei medici britannici, Betty Raman del dipartimento di Medicina Radcliffe dell’università di Oxford aggiunge che, a livello generale, anche quella che viene definita “la nebbia cerebrale” sembra leggermente meno diffusa.

Questa nebbia cerebrale era davvero molto frequente?

i sintomi di Covid-19 sono cambiati

A mo’ di premessa, va detto che questa non è un’espressione medica o scientifica, ma è un modo per descrivere la sensazione di essere mentalmente confusi o poco lucidi [2]. È una sensazione non infrequente anche in persone che non soffrono di particolari disturbi: basti pensare, per esempio, a quello che proviamo dopo aver assunto un farmaco antistaminico oppure al rientro di un viaggio aereo intercontinentale.

Dalle ricerche condotte in questi anni sappiamo che in alcuni casi – fortunatamente non molto frequenti – Covid-19 può avere effetti a breve termine sul sistema nervoso centrale [3] e a lungo termine anche su altri organi – per esempio polmone, cuore, reni – che possono causare altri sintomi persistenti, tra cui affaticamento, dolore, incapacità di fare esercizio fisico, mal di testa e difficoltà a dormire.

Sintomi particolari sono associati a particolari varianti?

La variante BA.1 ha provocato un aumento del numero dei bambini che presentavano sintomi, ha spiegato David Strain al BMJ [1]. “Il nostro ospedale ha attraversato tutto il periodo delle onde wild-type, Alfa e Delta con non più di uno o due bambini ricoverati, ma con BA.1 abbiamo improvvisamente avuto 10 o 12 bambini ricoverati con la pertosse”, causata probabilmente da una caratteristica del virus che aveva effetti solo sulle vie aeree dei bambini per le loro dimensioni più ridotte.

Nella sottovariante BA.2 la componente vascolare era un sintomo chiave e si manifestava con affaticamento, con la sensazione di non dormire a sufficienza o con un riposo “non ristoratore” [1].

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Cosa influisce sulla gravità dei sintomi?

Sembra che lo stato vaccinale, la carica virale, la salute preesistente del paziente e la compresenza di malattie autoimmuni possano influire sulla gravità dei sintomi [1]. Malattie concomitanti sofferte dalla persona che viene contagiata come l’obesità, il diabete o le malattie cardiache espongono la persona a un rischio maggiore, non soltanto in relazione al contagio di SARS-CoV-2. Dipende sia dalla capacità dell’organismo di far fronte alla maggiore richiesta di ossigeno e di energia, ma anche dalla capacità del sistema immunitario di contrastare l’infezione [1].

Se sintomi di Covid-19 sono cambiati, possiamo pensare che stiano diventando via via più leggeri?

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In realtà non ho notizie particolarmente positive da darle. Un ampio studio dell’Imperial College inglese – si chiama studio REACT – ha analizzato i dati di oltre 1,5 milioni di adulti inglesi [7]. Ogni partecipante ha fornito un campione del tampone e ha risposto a un sondaggio che comprendeva domande su variabili demografiche, comportamento e sintomi recenti.

I risultati hanno mostrato quel che dicevamo prima, vale a dire che i profili dei sintomi tra coloro che risultano positivi al test sono cambiati con le diverse varianti di Covid-19 e in relazione ai diversi livelli di vaccinazione e di immunità naturale.

Però, la percentuale di persone che hanno riferito di avere sintomi è aumentata con ogni variante. La percentuale più alta si è registrata per l’omicron BA.2, con il 75,9% dei soggetti positivi al test che hanno riferito almeno un sintomo. La percentuale è stata del 70% con omicron BA.1, del 63,8% con la variante delta, del 54,7% con alpha e del 45% con il wild-type originale.

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Insomma, sebbene vi sia la percezione che ogni nuova variante sia diventata successivamente più lieve, la ricerca ha dimostrato che la variante omicron BA.2 è stata associata alla segnalazione di un maggior numero di sintomi, con un maggiore impatto sulle attività quotidiane, rispetto alla BA.1. Lo studio è stato pubblicato su un’importante rivista del gruppo Nature [8].

Covid-19 sta dunque cambiando?

Probabilmente sì, al punto che due ricercatori italiani, Renata Gili e Roberto Burioni, hanno avanzato l’ipotesi che si possa parlare di “una malattia diversa da quella causata dalle varianti precedenti” [9]. Tuttavia, hanno precisato, “è fondamentale notare che anche una variante con un livello di patogenicità inferiore ma altamente trasmissibile può continuare a rappresentare un rischio significativo per i soggetti più a rischio, come gli anziani, le persone con comorbilità, i pazienti immunocompromessi o quelli che non sono stati vaccinati”.

(Fonte: dottoremaeveroche.it)