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Il dolore della tigre

Il dolore della tigre

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Una scala di misura del dolore viene proposta nel panorama internazionale dalla McGill University di Montreal. Una misura sempre soggettiva ma che va molto oltre la dimensione della VAS, la quale su un decimetro di linea chiede di porre una x lungo il suo tracciato considerando, che se è posta a sinistra significava nessun dolore se a destra il massimo dolore. Con questa nuova scala di misura si cerca di definire il dolore dandone una descrizione, una narrazione tra sfioramento e strazio, da pulsante fino a martellante, dalla puntura di zanzara all’infilzamento di una lancia.
Nella lettura estiva, sotto l’ombrellone a Capo Faro, mi sono ritrovato a pensarci leggendo il romanzo La tigre di Noto scritto da Simona Lo Jacono per i tipi di Neri Pozza.
Il personaggio principale, la tigre di Noto, la professoressa Marianna Ciccone, ne parla legandolo ad una sofferenza vissuta che le farà scegliere la strada della ricerca in Fisica come lavoro.
Nella Noto del 1891, ragazza, si accorge di alcune proprietà della luce e la paragona al dolore dicendo che “… è benevola solo con chi la attraversa, mentre rifiuta di stanare gli indecisi ed i superbi.”
Una vita avvincente per una delle prime donne a studiare Fisica, alla Normale di Pisa, coraggiosa, e pronta a difendere il patrimonio librario della biblioteca di ateneo dalla razzia nazista. Forse la prima ragazza ad essere partita da sola da Noto per studiare in Continente.
Da studentessa fuorisede è sorpresa nello scoprire che nei quartieri periferici delle città la disabilità, “… la mutilazione era più normale dell’integrità, i paralitici si spostavano su carrelli di latta, i ciechi circolavano con sonagli appesi al bastone…” il dolore, la sofferenza era quotidianità.
La somministrazione del Pain test di Mc Gill può sembrare paurosa, una sequenza di oltre cento parole che descrivono il dolore. Una “tortura” per soggetti sensibili o impressionabili. Una opportunità per farsi capire da chi ha subito un grave danno da ustione o una demolizione corporea per l’infiltrazione di un tumore. Persone che malgrado gli analgesici continuano a sentire il dolore intenso, interiore, feroce.
Marianna Ciccone nel 1920, durante gli studi a Pisa, definisce con una metafora sanitaria anche il suo desiderio di studiare l’ottica e la luce: “…non ho mai capito se in quegli anni a spingermi fosse davvero la luce o non, piuttosto, il buio. Intuivo però che tutte le relazioni d’amore nascono da una mancanza, e che la mia storia con la ricerca scientifica non faceva eccezione. Studiare equivale a occupare uno spazio aperto e sanguinante. Una ferita.”
Lo studio come sutura di una ferita sanguinante, una lacerazione, uno strappo che deve essere riparato.
Nella sua famiglia oltre al suo disturbo visivo c’era forte l’impegno nell’assistenza al fratello a cui la madre dedicava tutte le attenzioni temendo quando la piccola Marianna gli si avvicinava. Avrei potuto farlo cadere, dice Marianna: ” … non accadde mai, perché il mio occhio storto viveva di complicità con le stasi di mio fratello Salvo, con il suo respiro mozzato. Erano entrambe creature zoppe, distanziate, che ambivano ad una felicità disadorna, per tutti gli altri impossibile.”
Nelle sue riflessioni “… Salvo faceva parte di quella schiera di creature che abitano in luoghi altri, destinati a non partecipare al caos del mondo.” Non si preoccupava mai delle sue infermità. “Semmai era vulnerabile alle ferite degli altri. Salvo sentiva il dolore di tutti tranne il proprio.”
Nel somministrare la scala Mc Gill mi trovo a condividere lunge riflessioni con i pazienti, l’attenzione ad ogni particolare dà maggiore consapevolezza, l’analisi di quei momenti di sofferenza porta ad una riduzione della paura del dolore ad affrontarlo, a contenerlo.
Per me è utile sapere che l’esperienza del dolore potrebbe essere evocata da una parola che lo definisce, da un gesto di indirizzo. Il dolore c’è, nel movimento che si propone a volte aumenta. È un rischio … è un percorso, una guida attraverso il corpo.
Tornando a come nel romanzo viene definita la condizione di Salvo “…cercavo di dirlo a mia madre: Salvo non è malato. Definiamo malattie solo modalità di vita più profonde, rispetto a lui siamo noi gli stranieri.”
Ieri nel proporre la Scala Mc Gill sul dolore ero con degli studenti che mi vedevano raccogliere questi dati per la prima volta e sono stato molto scrupoloso a sovrapporre, relativamente allo stesso paziente, i dati precedenti con i più recenti, era evidente come il diagramma indicasse il miglioramento, in quanto la loro descrizione era meno forte, nella scelta delle parole che definissero il loro dolore, segno che l’esperienza motoria diventava sempre più libera, ed il dolore sempre meno presente e sicuramente contenuto e controllabile.

Filippo Cavallaro

la tigre di noto
citazioni

pag. 10 noto 1891
ancora non sapevo. che la luce, come il dolore, è benevola solo con chi la attraversa, mentre rifiuta di stanare gli indecisi ed i superbi.

pag 19 roma 1915
nei loro quartieri la mutilazione era più normale dell’integrità, i paralitici si spostavano su carrelli di latta, i ciechi circolavano con sonagli appesi al bastone.

pag 50 pisa 1920
non ho mai capito se in quegli anni a spingermi fosse davvero la luce o non, piuttosto, il buio. Intuivo però che tutte le relazioni d’amore nascono da una mancanza, e che la mia storia con la ricerca scientifica non faceva eccezione. Studiare equivale a occupare uno spazio aperto e sanguinante. Una ferita.

pag 60 noto 1903
temeva che potessi farlo cadere, che l’instabilità del mio sguardo mi facesse perdere l’equilibrio.
non accadde mai, perchè il mio occhio storto viveva di complicità con le stasi di mio fratello Salvo, con il suo respiro mozzato.
erano entrambe creature zoppe, distanziate, che ambivano ad una felicità disadorna, per tutti gli altri impossibile.

pag 89 noto
Salvo faceva parte di quella schiera di creature che abitano in luoghi asltri, destinati a non partecipare al caos del mondo.
per questo non si allarmava mai delle sue infermità.
semmai era vulnerabile alle ferite degli altri.
salvo sentiva il dolore di tutti tranne il proprio.
cercavo di dirlo a mia madre: salvo non è malato, definiamo malattie solo modalità di vita più profonde, rispetto a lui siamo noi gli stranieri.

tzimmes
carote cotte al vapore con uva, prugne e albicocche essiccate.