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Quale digitale per l’età prescolare?

Quale digitale per l’età prescolare?

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Interessantissimo, articolato e approfondito articolo di Mario Morcellini pubblicato su Agenda Digitale e rintracciabile per esteso al link: https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/il-digitale-prima-della-scuola-focus-sulleta-per-costruire-il-futuro/

L’attuale stato dell’arte dell’utilizzo dei bambini della tecnologia digitale solleva un allarme purtroppo inascoltato sulla situazione contemporanea della formazione, causato da evidenti indicatori di spaesamento normativo, fragilità di risposte e permanenti difficoltà ad individuare forme di tutela adeguate all’aggressività delle nuove piattaforme digitali. Tutto ciò sollecita una nuova responsabilità da parte degli organismi di regolazione chiamati in causa dall’impatto della comunicazione proprio per fronteggiare questa contrazione delle chance formative che la letteratura ormai individua come “povertà educativa digitale”.
Questa dovrebbe governare l’incipit “educativo” che va in scena prima dell’ingresso formale nella scuola primaria, costretta così a confrontarsi con uno dei passaggi più critici della condizione moderna.
Tutto ciò rischia di tradursi in un’arma di distrazione e desensibilizzazione del pensiero, con il pericolo conseguente che tutti finiamo per diventare nient’altro che ciò che fa di noi la comunicazione. Una nuova forma di “disabilitazione” degli individui, in particolare quelli dentro il percorso educativo, che può tradursi in povertà formativa, e dunque in una brusca riduzione delle possibilità di partecipazione e cittadinanza.

Molti sono gli aspetti che questo profilo incerto rende più complicata la successiva “fatica della socializzazione” coincidente con il percorso scolastico poiché il sentiment dei bambini, iperstimolato dalla compagnia digitale, offre una gratificante sponda anche espressiva alla grammatica dei comportamenti. Impossibile non annotare che il sovradosaggio di stimoli mediali inerisce alle aree cerebrali del bambino, alimentando interessi completamente nuovi per quella fascia di età e comunque manifestandosi in un’intensità di relazione con i dispositivi che tutto è meno che una garanzia di formazione. Il problema è che sappiamo ancora troppo poco di loro.
Un importante aspetto trascurato, ma a nostro avviso di non secondaria importanza è che si dovrebbe riconoscere che sapere non è più tramandare, ma essenzialmente condividere. Ed è così che si può prospettare una cancellazione culturale del passato e dei valori che sembrano faticare sempre più a sopravvivere ai nostri giorni.
Ecco perché, a questo punto, il discorso deve estendersi all’incipiente processo formativo. Infatti, non essendo facile intervenire in una fascia di età poco istituzionalizzata, l’interrogativo conseguente è quanto il nostro mondo educativo ce la può fare a rimettere a posto le priorità di discorso, sostenendo la sfida della nuova complessità e senza trascurare il contesto di incertezza sociale e valoriale che respiriamo nel nostro tempo.
Si è rotto un equilibrio secolare in forza di cui la complessità ineludibile della formazione era data per scontata. Non come un “servizio militare obbligatorio”, ma aggiornamento di un ideale forgiato da millenni. Il senso di quella storia era che il soggetto sottoposto a stimoli e contenuti attentamente studiati e graduati, si avviava alla fatica della conoscenza che, nel tempo, si sarebbe rivelata fonte di autonomia e coinvolgimento.
Come profetizzava Aristotele il percorso di acquisizione dei saperi ha radici amare ma frutti dolci.