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I bambini imparano a parlare tutti alla stessa età?

I bambini imparano a parlare tutti alla stessa età?

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di MARIA FREGA (PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE)

Nei primi due anni di vita di un bambino avvengono progressi quotidiani. Le prime parole, accompagnate da gesti eloquenti o balbettii, sono certamente una scoperta entusiasmante, sia per i bimbi sia per i genitori. Nonostante esistano tappe comuni nella crescita, ogni bambino è unico. Per questo, non occorre allarmarsi se si notano ritardi nell’espressione verbale, anche dopo i 24 mesi di età.

Un genitore, in alleanza con il pediatra, deve però sapere a cosa fare attenzione, se si sospettano problemi nell’apprendimento. E, soprattutto, può incoraggiare lo sviluppo del linguaggio con abitudini quotidiane sane, come la lettura e la conversazione (e senza tablet!).

Dottore, quando imparano a parlare i bambini?

Lo sviluppo linguistico interessa i primi due anni di vita, ma prosegue negli anni successivi. Si tratta di un periodo lungo e ricco di progressi, molto variabile fra bambino e bambino. Ogni percorso di crescita è unico, e le differenze non sono indicative di disturbi dello sviluppo.

In generale, si possono tracciare così le tappe dell’apprendimento del linguaggio. Fra i 3 e i 6 mesi, i bambini cominciano a balbettare, a formulare suoni che prima sono emessi per gioco e poi diventano ripetizioni, imitazioni di parole. Dai 6 ai 12 mesi, generalmente, i piccoli iniziano a rispondere quando sentono il proprio nome, sono capaci di dire “no”, e i suoni, ancora non definiti, sono associati a emozioni.

Dai 12 ai 24 mesi le risposte si fanno più articolate, anche perché aumenta l’attenzione ai discorsi e alle domande degli adulti. Si definiscono, inoltre, i gesti e le intonazioni per esprimere informazioni. Quasi tutti i piccoli, entro i due anni, hanno ormai imparato a dire “mamma” e “papà” e pronunciano frasi semplici composte da due o tre parole. Le parole conosciute e utilizzate dal bambino sono, a questo punto, circa cento [1].

Quando si può parlare di ritardo dello sviluppo del linguaggio?

All’età di tre anni è già chiaro se il bambino sta seguendo un percorso tipico, o se è un “parlatore tardivo”, o ancora se soffre di un eventuale disturbo del linguaggio [2]. I “parlatori tardivi” sono bambini che a due anni non parlano, o non si esprimono con la stessa chiarezza dei coetanei. Nonostante questo ritardo nella partenza, tra i tre e i quattro anni sono capaci di recuperare.

Nel frattempo, però, è raccomandabile approfondire, insieme al pediatra e, se necessario, avvalendosi dei servizi specialistici. Lo scopo dell’indagine è escludere cause diverse e più importanti e, quando occorre, intervenire tempestivamente, prima cioè dell’ingresso nella scuola materna.

Il linguaggio, infatti, non è soltanto una necessità comunicativa, ma coinvolge diverse funzioni cognitive e fisiologiche: l’attenzione, la memoria, le dinamiche relazionali, la salute dell’udito e dell’apparato fono-articolatorio. Il disturbo del linguaggio, invece, rientra tra i disturbi del neurosviluppo e va valutato sotto più ambiti (sensoriale, motorio, affettivo), che coinvolgono la crescita e il contesto socio-ambientale di riferimento [3].

Un genitore, da solo, può notare che qualcosa non va?

Una serie di segnali possono essere monitorati quotidianamente, fin da quando il piccolo ancora non si esprime a parole. Occorre allora fare attenzione alla reazione del bambino ai divieti, ai “no”; la sua difficoltà a seguire comandi semplici o a rispondere con i gesti (come indicare, scuotere la testa per annuire o rifiutare) [4].

Le difficoltà, i ritardi nel parlare sono causati anche dal contesto familiare?

Lo scambio comunicativo fra genitori e figli, gli stimoli all’apprendimento, le attenzioni sono fondamentali in quei primi 24 mesi di crescita. La ricca ricerca clinica sullo sviluppo del linguaggio ha sempre considerato più criteri: il genere, l’ambiente multilinguistico, il contesto socioeconomico.

Negli ultimi anni, lo scenario di ricerca è diventato più complesso: si sa molto di più sui disturbi specifici dell’apprendimento (come la dislessia) e si considerano anche fattori clinici come l’essere nati prematuri. A Harvard, da qualche tempo, si stanno effettuando studi che considerano questo quadro più ampio, utilizzando tecnologie innovative come l’analisi dei big data e l’intelligenza artificiale [5].

Dall’analisi dei ricercatori, che hanno catturato i balbettii e le prime parole di circa mille bambini in famiglie parlanti 43 lingue diverse, si è riscontrato che più del genere, del plurilinguismo e del gradi di istruzione in famiglia, contano l’età, la prematurità, i disturbi dell’apprendimento e la qualità e la quantità della comunicazione fra i piccoli e gli adulti. In generale, questo filone di ricerca conferma che le abilità linguistiche sono variabili da bambino e bambino e incoraggiano l’interazione con i genitori [6].

Dottore, come possiamo migliorare la comunicazione con i nostri bambini?

Lo sviluppo del linguaggio si può incoraggiare. Come ripetono spesso i pediatri: un bambino non impara da solo a parlare! Si può, per esempio, fare ricorso a canzoni e filastrocche: il ritmo, la musica aiutano a memorizzare e ripetere le parole. Resta sempre fondamentale leggere insieme i libri adatti alla età dei bambini, facendoli partecipare alla storia e alla lettura [4]. Nella comunicazione genitore-bambino, occorrono attenzione e tempo: si parla lentamente, mantenendo il contatto visivo e aspettando l’interazione, le risposte [7].

Un tablet o lo smartphone possono aiutare a sviluppare il linguaggio?

No, al contrario: crescere con favole recitate da una app o con videogiochi molto stimolanti può interferire con l’apprendimento, con la capacità di ascolto, ma anche disturbare il sonno, la vista, alterare le emozioni. Il tema è ormai ampiamente studiato e dai risultati sono state elaborate linee guida.

L’American Academy of Pediatrics suggerisce di non ricorrere ai dispositivi digitali prima dei due anni di età, nemmeno per tenere tranquilli i piccoli durante le attività sociali della famiglia. Dai due anni, i pediatri americani consigliano inoltre di limitare l’esposizione ai media a meno di un’ora al giorno e sempre in presenza di un adulto [8].

In accordo con queste raccomandazioni è la Società Italiana di Pediatria che spiega che “il bambino di età inferiore ai tre anni può apprendere nuove parole attraverso video solo se è presente un genitore che aggiunge altre informazioni durante lo svolgimento delle varie sequenze” [9].

(Fonte: dottoremaeveroche.it)