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Questioni di lingua: quarantunesimo appuntamento

Questioni di lingua: quarantunesimo appuntamento

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di Carmelo Micalizzi

ANTONELLO. LA CROCIFISSIONE DI SIBIU.

L’ISOLA DI STROMBOLI E IL MAREMOTO DEL 1456

La Crocifissione di Sibiu è una tempera1 di Antonello da Messina realizzata su tavola, forse legno di pesco2, di cm. 39 x 23,5 e custodita presso Muzeul National Brukenthal di Sibiu3 in Romania.Il dipinto, il più antico tra le tre Crocifissioni del pittore pervenuteci4, aparere pressoché unanime, è ritenuto opera giovanile con fluttuazioni cronologiche ampie collocabili tra i primi anni ’50 e la fine degli anni ’60.  

Nella parte media della piccola tavola vi è la raffigurazione di una città leggibile come la “Gerusalemme celeste”, la stessa visibile in alcune Crocifissioni fiamminghe della prima metà del XV secolo, qui mutuata con la veduta d’insieme del fretum siculi, le prime colline peloritane e scorci della città di Messina. Un unicum figurativo animato da una propulsione iconica “a conchiglia” che, svolgendosi dall’impianto urbano e dall’arco del porto, si apre al vertice del Peloro e all’orizzonte marino. Sono individuabili alcune architetture della città: una struttura religiosa con chiesa, fabbricati acclusi e un campanile5, il candido profilo del palazzo reale, una fortezza, i lacerti della cinta muraria normanno sveva, il monastero basiliano del San Salvatore, la torre di Sant’Anna, le saline sulla falce portuale. Altre strutture, mancando di una trasparente lettura, sono solo ipotizzabili6: una chiesa a tre navate con il campanile, la fiumara di Giostra con il ponte “a dorso d’asino” a tre arcate presso Santa Maria la Porta, l’accesso da settentrione in città; una proposizione figurativa esemplare riguardo la metà del ‘400, non accostabile, per fascino e definizione, a nessuna altra visione della città del XV secolo. Nella lettura di Mauro Lucco «una sorta di ritratto di Messina; da intendersi ovviamente in termini simbolici, evidenziando le emergenze naturali e monumentali più rilevanti, e togliendo tutti i dettagli che potrebbero risultare distraenti»7; un insieme di architetture e paesaggi che illustrano l’urbe, mediando tra simbolismo e realismo.

 Nella parte bassa della tavoletta domina l’impianto dei tre crocefissi drammaticamente elevati nel cielo del Golgota fino a comprendere e segnare la scena zenitale: al centro Gesù, alla sua destra Dismas, il ladrone buono della tradizione apocrifa; alla sinistra Gestas, il ladrone cattivo che si contorce nell’agonia segnato dal un uccello nero. La roccia desolata del Calvario è solcata da due profonde crepe; la terra, disseminata di ossa e sassi lividi è animata da Maria, da Maddalena, da Giovanni e da due “dolenti”8, figure in scala palesemente minore rispetto alle proporzioni dei crocifissi e alle estensioni delle croci. Al margine basso del dipinto, presso l’innesto nella terra della croce di Gesù, vi è un teschio e un tronco secco, reciso quasi alla radice9, un motivo iconografico che si coglie più volte in altre scene delle Passioni di Antonello.    

La suggestiva scenografia rimanda per molti aspetti ad uno dei dipinti più prestigiosi della seconda generazione dei pittori fiamminghi: l’Incoronazione della Vergine di Enguerrand Quarton10. In questa opera, in analogia all’immagine dello Stretto e di Messina della tavoletta di Sibiu, il pittore provenzale dipinge la biblica città ideale, la “Gerusalemme celeste” che Giovanni descrive nell’Apocalisse11, una proiezione simbolica che svela l’estremo percorso della Salvezza e coglie, nel vissuto della devotio moderna, massima espressione della spiritualità del XV secolo, una religiosità più intensa e innovativa, rispetto alla pietas dei secoli precedenti; una visione intima, dal punto di vista della committenza, che forse tendeva a definire luoghi noti al devoto committente perché meglio avesse agio di confrontarsi, tra realismo e simbolismo, con la trama urbana da lui quotidianamente vissuta. Anche qui è sintona la lettura di Mauro Lucco che ribadisce «l’interesse alla precisione rappresentativa dei luoghi con lo scopo di attualizzare la scena antica, di darle un contesto riconoscibile di quotidiana esperienza, in modo che la meditazione sulla Passione venisse intensificata e individualizzata. […] un segnale della volontà di Antonello di rendere il suo spettatore più attivo e coinvolto»12.

Si colgono pertanto, tra stupore e meraviglia, prescindendo dalle diverse dimensioni delle opere, analogie e affinità tra l’ineffabile scena inventata dal provenzale Enguerrand Quarton e quella peloritana di Antonello, con difficoltà a ritenere che sia casuale il confronto tra i dipinti con gli ineffabili due panorami: il grande spazio fra cielo mare e terra, il passo acquoreo fra i due promontori, il vasto orizzonte con l’isola e le architetture urbane.   

Ci si chiede inoltre quale modello pittorico abbia seguito Antonello per la raffigurazione dei due ladroni con i polsi legati stretti in cima ad un tronco d’albero, una soluzione che non si riscontra né nelle Crocifissioni di van Eyck e dei suoi epigoni, né nelle Crocifissioni italiane. A parere dello storico d’arte Marek Rostwrowsky13, i corpi dei tre crocefissi supporrebbero una conoscenza da parte di Antonello della scultura greco-romana e, in particolare, per il ladrone di destra, l’ispirazione ad un modello che potrebbe essere la statua in marmo, già nota alla fine del ‘40014,raffigurante Marsia oggi nel museo degli Uffizi. Lo studioso polacco è inoltre del parere che la Crocifissione rumena possegga somiglianze con la Crocifissione del museo Thyssen Bornemisza per la quale da tempo si dibatte l’attribuzione ad un pittore di area valenziana oppure al napoletano Colantonio15. Un’opera d’arte, questa del museo madrileno, raffigurante anch’essa la “Gerusalemme celeste”, a cui potrebbe non essere estranea, fosse anche in collaborazione con Colantonio, la mano di Antonello16.   

Ancora Rostworowski17,osservando la lieve curvatura della tavola, ha ritenuto che l’irregolarità fosse derivata da sbalzi di temperatura e di umidità legati alle variazioni climatiche da un ambiente esterno ad uno interno, e che per tale motivo facesse parte di un gonfalone processionale. Lo storico dell’arte, colloca il dipinto subito dopo il 1455, come già Giorgio Vigni che, nel 1953, indicava il biennio 1456-5718. Una tesi condivisa da Maria Grazia Paolini19 cheidentifica nella piccola tavola una parte del gonfalone commissionato ad Antonello dalla Confraternita dei Disciplinanti della chiesa reggina di San Michele, raffigurante – in una parte del gonfalone commissionato ad Antonello dalla Confraternita dei Disciplinanti della chiesa reggina di San Michele, raffigurante in una sua parte – come chiaramente descritto nella commissione – una passionem domini nostri jesu xri20.       

Approfondendo la lettura dei luoghi rappresentati nel dipinto è possibile notare in alto a destra, tra il Cristo e il cattivo ladrone, l’ambigua presenza di un’isola dalla forma di triangolo equilatero o di una sezione verticale di cono, sospesa tra cielo e mare. L’isola è Stromboli, una delle sette isole eoliane, e la singolarità consiste nella sua strana presenza in quel luogo: una distonia topografica non giustificabile nella lettura dello spazio reale per il semplice motivo che l’isola, pur essendo lì vicina, non è possibile scorgerla dal punto di vista del “Golgota” peloritano inventato da Antonello. La scena suggestiva e definita dello Stretto di Messina assurge così a motivo di riflessione per chi quei luoghi conosce inciampando nella stonata rappresentazione di Stromboli che si ha difficoltà a legittimare. Ci si chiede perché Antonello abbia raffigurato tanto distintamente l’isola: il tondo vulcano intoppa con la cognizione fisica di quello spazio isolano e marino, ed è per tale motivo che desta stupore. Stromboli è oltretutto delineata in uno spazio “aureo” del dipinto e, come tale, si espone immediata all’attenzione dell’osservatore22. Si prova a conoscere, escludendone la casualità, le ragioni: una ipotesi è che sia stata una rappresentazione “desiderata” dal committente; altra è che l’isola sia un’invenzione di Antonello per meglio definire quella parte del dipinto oppure mostrare con vanto a chi è lontano da Messina un cenno sulla magnifica geografia costiera peloritana, una pennellata di mirabilia con il mitico passo di mare con il preambolo delle isole Eolie; oppure ancora un richiamo ad un determinato evento che abbia interessato, per ragioni finora ignote, l’isola.        

Stromboli, con la sua inconfondibile sagoma tondeggiante che ne ha determinato il nome23, dista 55 km da capo Peloro, ma non è assolutamente visibile da Messina. A riguardo è noto come Antonello nelle scene delle Crocifissioni e delle Pietà pervenuteci non rispetti talora la rappresentazione reale dei luoghi sia di ambito urbano che extra moenia mirando piuttosto all’armonico insieme del dipinto. Ma nella Crocifissione di Sibiu l’isola rimane comunque una netta forzatura. Perché rappresentarla? Avrebbe potuto Antonello compendiare realisticamente quella parte della piccola tavola con una nuvolaglia, con gradazioni cromatiche tra terra e cielo peraltro consuete nell’area dello Stretto all’alba e al tramonto, con barchette e vele, o anche con un indefinito profilo dell’orizzonte.     

La strana presenza dell’isola di Stromboli nella Crocifissione di Sibiu, fu forse motivata da una terrificante catastrofe naturale sulla quale, solo di recente è stata fatta una adeguata indagine scientifica: un epocale terremoto che squassò, la notte tra il 4 e il 5 dicembre 1456, l’Italia centro-meridionale da Roma alla Puglia e, a sud, fino a Messina, ma in particolare l’area di Napoli e la regione campana. Alla luce degli studi odierni il fenomeno è giudicato come il più grave evento della storia della sismologia italiana con valore del X-XI grado della scala Mercalli e della magnitudo 7.19 della scala Richter. Al terremoto seguì un maremoto le cui cause rimandano a Stromboli: accadde che il costone nord occidentale dell’isola si staccò franando in mare e provocando un forte effetto tsunami che si propagò nel Tirreno infrangendosi anche sul porto di Napoli.    

Sisma e maremoto suscitarono un diffuso panico, giungendo a compendio di drammatici eventi accaduti nel secondo semestre del 1456: il passaggio nel mese di giugno della cometa di Halley24 che venne letto come un funesto presagio; l’avanzata dei Turchi in Occidente dopo la caduta di Costantinopoli25, evento cardine del ‘400 che culminò in luglio nella battaglia di Belgrado; lo stato endemico della peste nel meridione; i disordini sociali legati alla lotta tra baronato e Alfonso V che, di malferma salute, morirà da lì a 18 mesi. La sincronia di tali fatti provocò un generale turbamento ampliato dalle predicazioni di argomento teleologico dei frati domenicani e francescani, che crearono l’angosciosa percezione di una imminente calamità e di “finis mundi”. La popolazione, spaventata pure dai vaticini degli astrologi, improvvisò processioni e riti religiosi, anche perché gravi repliche del sisma si protrassero durante i primi mesi del 145726.    

Si è dell’avviso che la catastrofe abbia motivato, nello stesso dicembre, la committenza ad Antonello di un gonfalone raffigurante san Michele27 per antica tradizione protettore dai terremoti. La commissione venne dalla Confraternita messinese di San Michele dei Disciplinanti, un sodalizio laico ospitato nella chiesa con lo stesso titolo, sulla “ruga magna”, prossima alla abitazione del pittore. Vi si stabiliva che l’opera dovesse raffigurare l’Arcangelo che trafigge a morte il demonio causa dei terremoti28.

Il gonfalone, realizzato in circa tre mesi29, soddisfò oltremodo le aspettative dei sodali e un diffuso apprezzamento dei devoti tanto che, subito dopo, giunse ad Antonello una seconda committenza di cui si ha testimonianza in un atto notarile dell’Archivio Storico di Messina del 5 marzo 1457: un gonfalone “gemello” nella raffigurazione, per la confraternita “gemella” dell’altra sponda dello Stretto, ospitata nella chiesa di San Michele dei Gerbini di Reggio Calabria, la cui grande devozione è testimoniata dalle opere d’arte e dalle suppellettili lì dedicate all’Arcangelo30.  

Studiando l’argomento, si coglie anche la percezione del grave evento dal il punto di vista di Antonello. Il pittore era rientrato a Messina dopo anni di discepolato a Napoli presso la bottega di Colantonio. Forse i suoi anni migliori, quelli di Napoli, una città divenutagli una sorta di seconda patria. Il pittore visse certamente l’esperienza di quel terremoto e Stromboli, posta all’attenzione come causa del maremoto ad esso legato, può essere stata da lui raffigurata – ipotesi su cui ci si sofferma in queste pagine – come stigma del sisma nell’invenzione scenica della Crocifissione di Sibiu.    

Le testimonianze del terremoto del 1456 occupano una vasta bibliografia che prende origine dalle prime cronache e dagli scambi epistolari degli ambasciatori a Napoli che lo documentano. La gravità del sisma motivò diversi studiosi a narrarne la cronaca. Più volte ricordato nei tre secoli successivi, l’evento cadde in una sorta di oblio tra ‘800 e ‘900 riproponendosi in tempi recenti all’attenzione degli studiosi: dapprima vulcanologi, sismologi e poi anche antropologi e letterati. Il tema è stato di recente oggetto di un approfondito studio della storica Elda Merenda31.

Una prima testimonianza, ad appena due giorni dal sisma, fu quella di Bindo Bindi ambasciatore a Napoli della repubblica di Siena32:

Signori miei, adì 4 de questo [dicembre] sonate le XI hore, vene un terremoto, il quale durò per spacio de uno decimo d’hora e forse più; e fo sì grande che tutta questa terra è ruynata. […] fo in la nocte sì grande commocione nel mare, che tutte le galee e nave che erano in porto, parevano che fossero combattute da mille diavoli, si grande ruyna e percusione fra loro facevano che chi ce era suso credete pericolare 

Di simile rilievo è la testimonianaza dell’ambasciatore fiorentino Filippo Strozzi in una lettera inviata l’8 dicembre alla madre33 mentre significativi come fonti dell’evento sono gli scritti coevi di due storici: Matteo Dell’Aquila e Giannozzo Manetti. Nel Tractatus de cometa atque terraemotu (1457)34 l’erudito marchigiano Matteo Dell’Aquila fu il primo a ipotizzare una relazione tra il passaggio della cometa e il terremoto del 1456, indicando come quel prodigio venisse da tutti interpretato come un presagio. A distanza di pochi mesi venne pubblicato il saggio De terrae motu libri tres (1457-1458), del letterato fiorentino Giannozzo Manetti in quell’anno legato presso la corte aragonese35. Sul terremoto e sul conseguente maremoto si sofferma Giovanni Battista Carafa autore Dell’Historie del Regno di Napoli, 157236

Dell’Historie del Regno di Napoli, parte I, Napoli 1572: Per cause naturali un Regno viene messo in ginocchio e il disastro, per danni e perdite nuove, viene paragonato a una vera e propria guerra. Le cronache dell’epoca fanno rilevare che nel golfo di Napoli si verificò un maremoto tanto che “tutte le galee e le navi che erano in porto parevano che fossero combattute da mille diavoli” e che “in tutta l’acqua dei pozzi e delle cisterne, era sì grande tempesta che spingeva l’acqua fuori”.  

Una autorevole testimonianza su li terremoti, che successero nelle parti del Regno di Nap38oli l’anno predetto 1456 giunge dal letterato Giovanni Antonio Summonte che ne accenna nella Historia della città e regno di Napoli, edita tra il 1601 e il 160237:

Li terremoti, che successero nelle parti del Regno di Napoli l’anno predetto 1456, a 5 di Dicembre a’ 11 ore di notte; e l’altro a ‘ 30. dell’istesso mese a16 ore, furono grandissimi, in tanto che non vi fu tale in memoria di uomini, e appena si legge che vi fossero mai stati simili, tanto veementi

Significative sono le memorie sul sisma del letterato Fabrizio Paduano nel trattato De Ventis altre perbrevis De Terremotu(1601) dell’archivista del Regno di Napoli Marcello Bonito, autore, nel 1691, della Terra tremante, o vero continuatione de’ Terremoti dalla Creatione del Mondo fino a tempo presente39.

Riguardo la storiografia messinese è rilevante la testimonianza di Francesco Maurolico, in Sicanicarum Rerum Compendium 1562 che si sofferma sullo sgomento che il sisma suscitò a Messina dove una folla si riversò, a notte profonda, nella chiesa di Santa Maria la Scala, dove il teologo domenicano Giovanni Gatto tenne un sermone che tranquillizzò i cittadini40:

Nel 1456 Napoli fu squassata da molti terremoti e, una notte, un gran terremoto provocò tanto spavento a Messina che tutti, balzati dal letto, si recarono in folla nella chiesa di Santa Maria la Scala, dove il teologo domenicano Giovanni Gatto, tenuto un discorso, riuscì a tranquillizzare i cittadini.

La chiesa di Santa Maria la Scala era prossima alla casa di Antonello. Si ritiene a riguardo – una semplice riflessione – come sia verosimile che Antonello dopo la scossa sismica delle 23.00 del 4 dicembre, si sia recato con i propri familiari a pregare in quella chiesa.  

Cronache del sisma del 1456 sono riportate dallo storico messineseBonfiglio Costanzo nella Historia Siciliana (1604)41, dal letterato palermitano Antonino Mongitore nella Istoria cronologica de’ terremoti di Sicilia (1743)42 e da Caio Domenico Gallo43 negli Annali della Città di Messina (1755-1758):

Nel 1456 un fiero e spaventevole terremoto atterrì il regno tutto di Sicilia e quello di Napoli, dove quella città ricevette gran danno nelle fabbriche con mortalità degli abitanti.

L’evento tellurico è annoverato nella casistica dei terremoti accaduti in Italia negli ultimi duemila anni raccolta e pubblicata da Mario Baratta (1901)44, figura storica di geografo e sismologo, in un trattato oggi divenuto un classico. Dal punto di vista geofisico è fondamentale lo studio curato da G. Magri e D. Molin per l’Istituto Nazionale della Ricerca pubblicato nel 198545.

In tempi recenti il sisma è stato attenzionato dai punti di vista storico e antropologico da Bruno Figliuolo46 in un importante monografia, Il terremoto del 1456 (1989), che ha dato spunto ad ulteriori studi specialistici47: saggio di sommo interesse in cui si dimostra come un evento sismico possa determinare mutazioni nei ritmi storici della società civile. .

È così dimostrato come il maremoto che il 5 dicembre 1456 squassò il porto di Napoli, come si evince da recenti studi multidisciplinari coordinati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Consiglio Nazionale delle Ricerche e il concorso di altre importanti Istituzioni48, fu causato dal colossale cedimento del costone nord occidentale di Stromboli con un “moto di mare”, uno tsunami, che s’infranse contro il litorale campano. Lo straordinario fenomeno geofisico stigmatizzò l’isola motivando l’ipotesi sostenuta in queste pagine: la rappresentazione di Stromboli nella Crocifissione di Sibiu di Antonello da Messina. 

Carmelo Micalizzi

NOTE

1 Per la tecnica della tempera su tavola si sono espressi: G. MANDEL, L’opera completa di Antonello da Messina, Milano 1967, J. Wright, Antonello da Messina. The origins of his style and Tecnique in «Art History», III, 1, 1980, pp. 41-60; IDEM, Antonello in formazione: un riesame della “Crocifissione” di Bucarest in «Arte Veneta», XLV, 1993, pp. 21-31; M.C. GALASSI, Metodi progettuali ed esecutivi di Antonello. l’indagine sugli “Ecce Homo” di Genova e Piacenza, Genova 2000, pp. 26-32

2 J. WRIGHT, Antonello da Messina […], cit.; M. LUCCO (a cura di), Antonello da Messina. L’opera completa, Cinisello Balsamo (Mi) 2006, p. 142

3 Il museo di Sibiu, fondato nel 1790 dal barone Samuel von Brukenthal, venne aperto come istituzione culturale nazionale nel 1817. Ne faceva già parte la piccola tavola con la Crocifissione di Antonello che vi rimase fino al 1948 quando, nel progetto sovietico della centralizzazione del potere il museo venne privato di gran parte delle opere d’arte trasferite nell’erigendo museo nazionale di Bucarest. Caduto il regime, il dipinto, dopo non poche traversie, è tornato nella sede originaria a Sibiu

4 Antonello da Messina, Crocifissione, 1475, cm 59,7 x 42,5, Anversa; Antonello da Messina, Crocifissione, 1475, cm. 41,9 x 25,4

5 La chiesa, il campanile e gli altri edifici potrebbero rimandare al complesso monastico di Santa Maria del Gesù inferiore che ospitava i frati minori conventuali, consacrato (ma non ultimato) dall’arcivescovo Jacopo Tedeschi nel 1463. Si è dell’avviso che il vasto edificio abbia richiesto tempi di costruzione adeguati alla sua ingente mole. Il riconoscimento di questa chiesa nel dipinto indicherebbe una sua collocazione temporalmente avanzata, forse tra il 1464 e il 1467, epoca in cui le opere di Antonello mostrano ben altre caratteristiche stilistiche. Si argomenta piuttosto che la realizzazione della piccola tavola, per i motivi che si argomentano nel saggio, sia collocabile nel 1457  

6 La “fortezza” è identificabile con il castello di Matagrifone qui raffigurato in maniera approssimativa rispetto alla precisione quasi “fotografica” in cui lo stesso castello è raffigurato nella Crocifissione di Anversa     

7 M. LUCCO, Antonello da Messina, Milano 2011, pp. 64-65

8 Così nel Vangelo di Marco, 15, 40-41: Maria madre di Giacomo il minore e di Giuseppe, Salomè

9 L’identico motivo del tronco secco reciso e del virgulto secco è presente anche nella Crocifissione di Anversa e nella Pietà di Madrid e, simile, poiché non troncato dall’ascia ma come bruciato da un fulmine o distrutto dal fuoco, ancora nella Pietà di Madrid e nella Pietà di Venezia

10 Enguerand Quarton, L’Incoronazione della Vergine, 1455, cm. 183 x 220, Villaneuve di Avignone

11 Apocalisse, 21. 1-7,1: E vidi la Santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo

12 M. LUCCO, Antonello …, cit., pp. 64-65

13 Marek Rostwrowsky accenna che i corpi dei crocefissi suppongano una conoscenza da parte di Antonello della scultura greco-romana. Cfr.: M. ROSTWROWSKY, Trois Tableaux d’Antonello da Messina, in “Jaarboeck Koninklijk Museum voor schone Kunsten”. Antewerpen, 2°, 1964, pp. 53-86

14 Copia in marmo di una statua greca del II-III sec. a. C. attribuita ad artista rinascimentale toscano operante nella seconda parte del ‘400, forse Mino da Fiesole. Cfr. A. MARABOTTINI, Antonello…, cit. 1981, p. 94-97. Di recente cfr. N. PRINCIPATO, Il Codice Antonello. Lettura in chiave esoterica e teologica delle opere del “Non humanis pictoris”, Messina 2022, pp. 57-58

15 R. LONGHI, Frammento siciliano in «Paragone», 47, 1953, pp. 3-44, in part. pp.27-28; M. ROSTWROWSKY, Trois Tableaux d’Antonello da Messina, in «Jaarboeck Koninklijk Museum voor schone Kunsten. Antewerpen, 2», 1964; P. HENDY, Some Italian Renaissance Pictures in the Thyssen-Bornemisza Collection, Lugano-Castagnola 1964

16 F. SRICCHIA SANTORO, Antonello e l’Europa, Milano 1986, pp.  39-40, 67-68, 156

17 M. ROSTROWSKY, Trois tableaux…, cit.; M. LUCCO, Antonello…, cit.

18 G. VIGNI, G. CARANDENTE, Antonello da Messina e la pittura del ‘400 in Sicilia, (catalogo della mostra), Messina 1953, pp.18-19,n. 1; Jan Lauts colloca la realizzazione della Crocifissione di Sibiu nei primi anni ’50. Cfr. IAN LAUTS, Antonello da Messina, Vienna 1940, pp. 9-10  

19 M.G. PAOLINI, La dimensione rinascimentale di Antonello da Messina in «Atti e memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze», 43, 1979-1980, pp. 65-96; IDEM, Problemi Antonelliani. I rapporti con la pittura fiamminga, in «Storia dell’Arte», 1980, pp. 38-40; M. LUCCO, Antonello …, cit., pp. 64-65

20 Messina, 5 marzo 1457, Archivio di Stato di Messina, notaio Matteo Pagliarino, documento distrutto: Antonello […] in una parte dicti confaloni debet depingere ymaginem […] passionem domini nostri Jesu Christi

21 P. REUTERSWÄRD, A Plea for Antonello’s London Madonna, in «Artibus et Historiae», XX, 40, 1999, pp.61-97, in part. pp.71-75

22 La sezione aurea, detta anche numero aureo, rapporto aureo o proporzione divina, è il rapporto tra due numeri, circa 1,61. Nella Crocifissione di Sibiuè, riguardo l’isola come spazio aureo, il rapporto tra l’altezza del dipinto e la distanza tra Stromboli e il margine superiore. Similmente è anche il rapporto tra la larghezza del dipinto e la distanza tra Stromboli e il margine destro. In ambedue i casi il rapporto è circa 1, 60

23 G. CARACAUSI, Dizionario onomastico della Sicilia, Palermo 1994, vol. II, p. 1582. Stromboli, dal greco tardo, attraverso il latino Strongyle, “rotondo”

24 A. ANGELLA, La storia del passaggio della Cometa di Halley e le possibili, probabili relazioni con il grande terremoto del 1456, Napoli 2012, in vesuvioweb.com consultato il 30.01.2024

25 Costantinopoli, dopo un assedio di 53 giorni da parte dell’esercito turco-ottomano, cade il 29 maggio 1453

26 I terremoti del 5 e del 30 dicembre 1456 sotto Alfonso I d’Aragona, Regno di Napoli a cura di G. Greco in www.BelSalento.com consultato il 30.12.2023   

27 Messina, 5 marzo 1457. Notaio Matteo Pagliarino, Archivio di Stato di Messina. Il documento, distrutto nel sisma del 1908, è stato copiato agli inizi del ‘900 da Gioacchino Di Marzo e da Gaetano La Corte Cailler

28 La biblica lotta tra l’Arcangelo Michele e il demonio descritta nell’Apocalisse emerge nella pia tradizione ambientata nel Gargano. Il tema dominante è la caverna con il demonio là racchiuso che l’Arcangelo trafigge a morte e che dimenandosi scuote la terra provocando i terremoti 

29 La commissione del gonfalone avvenne il 5 marzo 1457. La consegna dell’opera finita fu stabilita per la Pentecoste. Il lunedì di tale festività, nel 1457, cadeva il 6 giugno. Dal 5 marzo al 6 giugno sono giusto tre mesi, quelli ritenuti necessari per la realizzazione del gonfalone. Il computo è significativo poiché dà contezza del tempo necessario al pittore per ultimare la tavola con le caratteristiche descritte nella commissione. 

30 Cronaca delle Visitationes di Mons. Annibale D’Afflitto. Archivio Arcivescovile di Reggio Calabria, 8 dicembre 1594, f. 85 r.  

31 E. MERENDA, Le Naturales quaestiones di Seneca nella Napoli Aragonese. I trattati di Giannozzo Menotti e di Matteo dell’Aquila, Biblioteca Apostolica Vaticana XIII, Studi e testi, vol. 433, Roma 2006, pp. 432-492

32 Lettera dell’ambasciatore senese B. Bindi alla Balia di Siena, Napoli 7 dicembre1456 in «Dispacci sforzeschi da Napoli» vol. I 1444-2 luglio 1458, Archivio di Stato di Firenze

33 F.STROZZI, Lettera di F. Strozzi alla madre Alessandra Macinghi, Napoli 8 dicembre 1856 in Alessandra Macinghi negli Strozzi, Lettere di una gentildonna fiorentina del secolo XV ai figliuoli esuli, a cura di C. Guasti, Firenze 1877, pp. 138-140 in www.BelSalento.com consultato il 30.12.2023   

34 M. DELL’AQUILA,Tractatus de cometa atque terraemotu (a cura di B. Figliuolo), Napoli 1990

35 G. MANETTI, De terrae motu libri tres, a cura di D. Molin-C. Scopelliti, Roma 1983

36 G.B. CARAFA, Dell’Historie del Regno di Napoli, parte I, Napoli 1572

37 G. A. SUMMONTE. Historia della città e regno di Napoli, Napoli 1748 (3a ed.) vol.  IV, p. 250. L’opera fu scritta nel 1598 e stampata nel 1601-1602

38 F. PADUANO, Tractatis duo alter De Ventis altre perbrevis De Terremotus, Bologna 1601

39 M. BONITO. Terra tremante, o vero continuatione de’ Terremoti dalla Creatione del Mondo fino a tempo presente, Napoli 1691

40 F. MAUROLICO, Sicanicarum Rerum Compendium, Messina 1562, l. V, f. 181; F. IRRERA, G. PUZZOLO (a cura di), F. Maurolico. Compendio di storia della Sicilia. Versione moderna della prima edizione del 1562 […], Messina 2019, p. 343:

41 G. BONFIGLIO COSTANZO, Historia Siciliana, p. I, l. X, Messina 1604

42 A. MONGITORE, Istoria cronologica de’ terremoti di Sicilia in IDEM, Della Sicilia ricercata nelle cose più memorabili, t. II, Palermo 1743, pp. 345-445

43 C.D. GALLO, Annali della Città di Messina, Messina 1877, v. I, l. V, p. 346: 1755-1758

44 M. BARATTA, I terremoti d’Italia: saggio di storia, geografia e bibliografia sismica, Torino 1901

45 G. MAGRI- D. MOLIN, The earthquake of December 1456 in Central-Southern Italy, in «Atlas of Isoseismal Maps of Italian Earthquakes» a cura di D. Postpischl, CNR-PFG, Quaderni della «Ricerca Scientifica», n. 114, v.2°, pp. 2023, Roma 1985

46 B. FIGLIUOLO, Il terremoto del 1456, vol. 2, doc. IV, pp. 17-19, Altavilla Silentina 1989; IDEM, Il terremoto del 1456, in «Quaderni Medievali», 30, 1990, pp. 290-291 che ha dato spunto ad altri studi specialistici    

47 J. DELUMEAU, La paura in Occidente (secoli XIV-XVIII), Torino 1979; G. MANETTI, De terrae motu libri tres, a cura di D. Molin-C. Scopelliti, Roma 1983; V. FUMAGALLI, Quando il cielo s’oscura. Modi di vita nel medioevo, Bologna 1997; G. P. RICCIARDI, Diario del monte Vesuvio, t. I, Napoli 2009, p. 122; M. MATTHEUS, G. PICCINNI, G. PINTO, G.M. VARANINI (a cura di), Le calamità naturali nel tardo medioevo europeo: realtà, percezioni reazioni, Firenze 2010; I. LA FAUCI, Terremoti e peste: una strana correlazione, in «Humanities», a. VIII, n. 15, giugno 2019, pp 101-118

48 I.N.G.V. e C.N.R. in concorso con il Dipartimento di Scienza della Terra dell’Università di Pisa e Università di Modena-Reggio Emilia e di Urbino. Cfr. www.INGV.it pubblicato il 19.02.2019, consultato il 30.01.2024