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Scenari di Guerra e Covid-19: la futile mitopoiesi della gloriosa sconfitta

Scenari di Guerra e Covid-19: la futile mitopoiesi della gloriosa sconfitta

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di Valentino Sturiale

E non poteva mancare quella che gli storici militari definiscono “mitopoiesi della gloriosa sconfitta” (cit. Marco Cimmino). Quando cioè esaltando il sacrificio eroico e valoroso del popolo si tentano di nascondere le responsabilità, gli errori, le magagne, la sconsideratezza, l’incapacità e quant’altro delle classi dirigenti. Ai caduti di El Alamein e Nikolajewka anche il nemico concede l’onore delle armi: l’esercito ideale è composto da soldati italiani, sottufficiali inglesi e ufficiali tedeschi (cit. Paolo Rumiz).

Il soldato italiano pur nella totale incapacità dei comandanti riesce a condurre la propria battaglia, a farsi onore e meritarsi la gloria: riscatto delle prime linee da un lato, inadeguatezza, incertezza e inaffidabilità di comandi e linee guida, dall’altro.

Non attrezzato e male equipaggiato, come in ogni guerra l’italiano (popolo di eroi, di santi, di poeti…) ritrova genio e buonsenso: dall’anti-artrosico all’anti-malarico, dal plasma dei convalescenti all’eparina e al cortisone non si rassegna e continua a combattere e a vincere le sue battaglie, se non la guerra, con armi definite “off-label” lontano dalle trincee nel bunker del dottor goebbels dove si aspetta l’arma finale (cit. Bonvi), ma effettualmente razionali ed adeguate di fronte al nemico: la Scuola Salernitana, prima facoltà di Medicina nel IX secolo, imponeva per tre anni su cinque lo studio della logica. La medicina, come l’italiano di Sciascia, è ragionamento, innanzitutto.

La battaglia di “Caporetto” (la parola stessa semioticamente denota e connota la disfatta totale), non genera processi mitopoietici pur non mancando atti di valoroso eroismo già durante la resistenza sul Piave. Piuttosto “Caporetto” è l’evento che determina cambiamenti importanti a cominciare dal comandante in capo delle Forze Armate che aveva cercato di addossare la responsabilità della disfatta alla viltà dei soldati in prima linea, che invece ben comandati dal rinnovo della classe dirigente dimostrano tutto il loro valore a cominciare dai ragazzi del ‘99 con il trionfo di Vittorio Veneto l’anno seguente.

Insomma stiamo affrontando anche questa crisi grazie all’eroico lavoro di medici e infermieri e alla esemplare resilienza degli italiani.

Ma tutti i nodi vengono al pettine… quando c’è il pettine (cit. Leonardo Sciascia).

Davanti all’emergenza Covid è innegabile che il servizio sanitario non può essere una azienda politicizzata che si preoccupa più dell’immagine che della salute dei cittadini e degli operatori: il numero chiuso in medicina, nelle specializzazioni, in scienze infermieristiche; la logica della prestazione e del profitto; la sanità territoriale e di comunità, la regionalizzazione etc. vanno seriamente riveduti e corretti prima che la voglia di dimenticare questa esperienza diventi negazione psicopatologica della realtà vissuta.

Davanti all’emergenza Covid è innegabile che solo lo Stato può gestire una catastrofe così immane ed è necessaria una collaborazione e una solidarietà sovranazionale. Solo lo Stato può assicurare ai cittadini un sussidio d’emergenza: il reddito di cittadinanza non era un delirio populista. La concezione stessa del lavoro nel pubblico e nel privato è cambiata e sta cambiando adeguandosi smartly con difficoltà ma anche con innegabili evidenti successi (scuola, università, trasporti, ambiente etc.) a nuovi scenari che dovranno restare anche quando si tornerà alla normalità e anzi costituendone l’essenza: il problema dei buoni pasto non è insormontabile!

Davanti all’emergenza Covid è innegabile che Il neo-liberismo e il mercato globale hanno dimostrato, se ancora ve ne fosse stato bisogno, tutti i loro limiti: la salute, la tranquillità e la libertà del cittadino sono fondamentali anche per la sopravvivenza stessa dei mercati ma sono competenza dello Stato che non può essere demolito per far lucrare il privato. Gli ambiti locali e le comunità, le economie di prossimità hanno avuto una significativa rivincita ri-creando contesti dove i beni relazionali, primo fra tutti la fiducia, hanno prodotto quel capitale sociale che misura, più del PIL, la qualità della vita.

Davanti all’emergenza Covid è innegabile la fine del sovranismo. Populismo e sovranismo si sono dimostrate entità distinte: i problemi sanitari, socio-politici, economici ormai si diffondono troppo rapidamente perché possano essere risolti in ristretti ambiti nazionali: le risposte devono essere resilienti veloci e… planetarie. Authority come l’OMS devono essere pronte, libere ed efficienti. Anche sulla finanza sarebbe necessario un controllo mondiale con il potere di sospendere o chiudere tutte le Borse (si è fermato anche il Vaticano e non era mai successo prima) evitando capitalizzazioni di perdite stratosferiche che bruciano risorse indispensabili in momenti di crisi.

Il populismo di questi anni che testimonia la volontà e la consapevolezza (talvolta selvaggia nei social network e nei risultati di alcune elezioni) dei popoli della terra di aspirare a riappropriarsi del potere delle decisioni politiche, deve guardare oltre e superare i confini nazionali o subnazionali; insomma, per diventare sovranismo dovrebbe avere dimensioni planetarie!

La storia del novecento ha due scenari post-bellici: uno porta al nazifascismo, l’altro alle democrazie della ricostruzione.

Tertium non datur?