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Rapporto Censis, secondo appuntamento: “Il furore di vivere: la solitaria difesa di se stessi degli italiani”

Rapporto Censis, secondo appuntamento: “Il furore di vivere: la solitaria difesa di se stessi degli italiani”

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Il grande tradimento: la società ansiosa macerata dalla sfiducia

Incerto: così è per gli italiani il presente e così è il futuro percepito. Pensando al domani, il 69% dei cittadini dichiara di provare incertezza, il 17,2% pessimismo e il 13,8% ottimismo, con i pesi relativi di questi ultimi due stati d’animo quasi equivalenti, che finiscono per neutralizzarsi (fig. 1).

Gli italiani avevano dovuto prima metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in evidente crisi di sostenibilità finanziaria, destinando risorse crescenti a strumenti privati di tutela e introiettando l’ansia del dover fare da soli rispetto a bisogni individuali e familiari non più coperti come in passato. Poi avevano dovuto fare i conti con la fine della corsa verso il benessere, sperimentando la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche l’ansia provocata dal rischio, al contrario, di un possibile declassamento sociale. Anche perché la nuova occupazione creata negli ultimi anni è stata inequivocabilmente segnata da un concomitante andamento negativo di retribuzioni e redditi. Infine, avevano dovuto rinunciare perfino ai due pilastri storici della sicurezza familiare, il mattone e i Bot, di fronte a un mercato immobiliare senza più le garanzie di rivalutazione di una volta e titoli di Stato dai rendimenti ormai infinitesimali. Contando di fatto solo sulle proprie forze, gli italiani hanno quindi messo in campo stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro, in assenza di grandi strategie da generali d’armata, di certo non avvistati all’orizzonte in questi anni. E ora si ritrovano a subire il grande tradimento: un attacco a freddo proprio contro quelle soluzioni individuali di vitale reazione alle avversità. Così è stata percepita la minacciosa scure fiscale agitata sopra le loro teste, con l’annuncio della caccia al cash accumulato in chiave difensiva in questi anni, alle cassette di sicurezza, al “nero” di sopravvivenza.

In questi anni l’astuta reazione degli italiani ha generato un modello di sopravvivenza che finora si è rivelato efficace. Si è trattato di una formidabile espressione di resilienza opportunistica e mobile, con l’attivazione di processi di difesa spontanei e molecolari degli interessi personali, a dispetto di proclami pubblici e decreti.

Oggi il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale è bloccata; il 63,3% degli operai crede che in futuro resterà fermo nell’attuale condizione socio-economica, perché è difficile salire nella scala sociale; il 63,9% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso. Inoltre, il 38,2% degli italiani è convinto che nel futuro i figli o i nipoti staranno peggio di loro, il 21,4% non sa bene che cosa accadrà e solo il 21% pensa che staranno meglio di loro. Il ceto medio (43%), dagli impiegati agli insegnanti, è più persuaso che figli e nipoti staranno peggio (tab. 3).

È una convinzione radicata nella “pancia” sociale del Paese che genera uno stress esistenziale, intimo, logorante, perché legato al rapporto di ciascuno con il proprio futuro, che amplifica la già elevata tensione indotta dai tanti deficit sperimentati quotidianamente e si manifesta con sintomi evidenti in una sorta di sindrome da stress post-traumatico: il 74,2% degli italiani dichiara di essersi sentito nel corso dell’anno molto stressato per la famiglia, il lavoro, le relazioni o anche senza un motivo preciso; al 54,9% è capitato talvolta di parlare da solo (in auto, in casa, ecc.); e per il 68,6% l’Italia è un Paese in ansia (il dato sale al 76,3% tra chi appartiene al ceto popolare); del resto, nel giro di tre anni (2015-2018) il consumo di ansiolitici e sedativi (misurato in dosi giornaliere per 1.000 abitanti) è aumentato del 23,1% e gli utilizzatori sono ormai 4,4 milioni (800.000 in più dal 2015).

La pressione che ne deriva è socialmente vissuta come un vero e proprio tradimento, che si aggiunge alle due promesse mancate del recente passato: l’annunciata ‒ e mai arrivata ‒ ripresa e il non pervenuto rinnovamento in meglio. Così gli italiani vivono la sensazione del tradimento per gli sforzi fatti finora, che non solo non vengono riconosciuti, ma a cui ora si vorrebbero associare nuovi conti da saldare.

Stress esistenziale, disillusione e tradimento originano un virus ben peggiore: la sfiducia, che condiziona l’agire individuale e si annida nella società. Il 75,5% degli italiani non si fida degli altri, convinti che non si è mai abbastanza prudenti nell’entrare in rapporto con le persone (tab. 4).

Così, il 48,6% degli italiani dichiara di avere subito nel corso dell’anno almeno una prepotenza in un luogo pubblico (insulti senza un apparente motivo, spintoni, ecc.), il 43,7% si sente molto insicuro, quasi minacciato nelle strade che frequenta abitualmente, il 25,7% ha litigato con qualcuno per strada o in luoghi pubblici (tab. 5).