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Nulla è per caso. Lettera del Corona-virus all’Umanità

Nulla è per caso. Lettera del Corona-virus all’Umanità

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di Giuseppe Ruggeri

Salve a tutti. Sono il corona-virus, o, come mi chiamano gli addetti ai lavori, il Covid-19. Qualcuno già mi conosce, qualcun altro lo sta facendo, qualcun altro ancora non mi conosce affatto ma, a quanto sembra, non ha nessuna voglia di farlo.

Strana davvero la vita di noi virus, preesistiamo all’umanità e abbiamo partecipato, come ogni forma vivente, all’evoluzione. Secondo alcuni, addirittura, senza di noi l’umanità non sarebbe mai esistita.

E così ancor oggi, dagli spazi interstellari da cui abbiamo preso origine vaghiamo di pianeta in pianeta, dovunque il nostro piccolo – ma estremamente intelligente – filamento genetico può accoppiarsi a un altro filamento per farci moltiplicare. A decine centinaia migliaia … miriadi di virioni che si liberano nelle miriadi di atmosfere che colonizzano con il tocco di un’ala di farfalla. Impercettibile.

Molti di voi non mi conoscono, dicevo. Io però conosco voi. Conosco le vostre paure e la vostra tracotanza, conosco le vostre passioni, la gioia e il dolore dei vostri cuori, e sapete perché? Perché, dall’alto, prima di entrare in voi, ho il privilegio di assistere allo spettacolo che date. Uno spettacolo che mi diverte moltissimo. E mi fa riflettere.

Quelli di voi che non mi conoscono, sapete, hanno l’arroganza di sostenere che io sono solo una particella infinitesimale della vita, poco più grande di una molecola. Una forma elementare, e come tale inferiore, che non può pertanto minimamente sognare di competere con gli organismi cosiddetti superiori.

Mi diverto e rifletto: chi la pensa così – e sono la maggioranza, e tra questi anche rinomati scienziati – non ha capito che la complessità non si misura in termini di quantità bensì di qualità. Nella mia piccolezza, io virus posso vantare una complessità che un organismo cosiddetto superiore non si sogna neppure.

E’ per questo che, fin dall’esordio dell’umanità a tutt’oggi, nonostante le conoscenze scientifiche in inarrestabile aumento, le epidemie continuano a imperversare e fare vittime. Uomini, donne, animali, piante messi in ginocchio da noi virus. Perfino batteri. Una guerra per la sopravvivenza senza precedenti che stravolge ogni giorno il pianeta.

Una guerra condotta con l’arma più letale che possa esistere al mondo: l’intelligenza. Quella stessa – voi direte – che ha fatto compiere a voi umani passi da gigante nel progresso scientifico? Sì, certo, perché l’intelligenza non è esclusivo appannaggio di uomini animali piante batteri. Anche noi virus siamo intelligenti. E, per certi versi, anche un pizzico in più di voi.

Prova ne sia che, nel tentativo di debellarci, voi continuate a mettere a punto farmaci e vaccini che vorrebbero eradicarci per sempre. Spendete capitali per affermare la vostra supremazia sulle invisibili virgole che siamo, minuscoli frammenti di materiale genetico che vagano spinti dall’immenso vento cosmico senza un dove e senza un perché.

E, invece, noi abbiamo ben chiaro in mente ove andare e il motivo per cui lo facciamo. A guidarci è la pulsione verso la vita che ci fa colonizzare terre sconosciute di cui riusciamo a imparare subito ogni segreto. Ad esempio impariamo come sopravvivere nonostante le armi micidiali che l’umanità prepara per distruggerci.

Mi riferisco ai vaccini. Vi chiederete perché ogni anno contro uno dei virus più rappresentativi della nostra famiglia – parlo naturalmente del virus influenzale – è messo a punto un vaccino sempre diverso.

Il motivo è che noi virus, cari umani, siamo come i camaleonti. Mutiamo di continuo, specie quando subodoriamo una minaccia che potrebbe annullare i nostri sforzi di moltiplicarci nell’ospite che, volente o nolente, deve accoglierci per permetterci di vivere.

Pensate un poco a cosa siamo arrivati noi virus, noi piccole infinitesimali particelle, noi virgole minuscole che vagano nello spazio apparentemente senza né senso né direzione. Abbiamo capito che, per non farci sparare addosso, non dobbiamo indossare una corazza, un giubbotto antiproiettile. Dobbiamo invece travestirci per non farci riconoscere.

Abbiamo imparato molto presto questo trucco, quando invece voi umani ci siete arrivati dopo secoli di evoluzione. Vi sembra poco?

E così, proprio quando voi pensavate di aver eradicato tutte le malattie virali grazie ai vostri vaccini, ai farmaci e alle altre diavolerie che alimentano le vostre industrie farmaceutiche; quando, dopo aver smantellato i vostri ospedali delle strutture adibite alla cura delle infezioni, urlavate ai quattro venti che la società progredita aveva per sempre debellato le epidemie; quando avevate cominciato a vantarvi del fatto che l’umanità avrebbe raggiunto un grado evolutivo tale da assicurarle un’età media di centoventi anni e magari, un giorno, anche l’immortalità.

In quel preciso momento ebbene, ecco che un corona-virus da strapazzo, una virgola di nulla, un frammento minuscolo di vita nomade nell’universo smentisce, come d’incanto, tutte le vostre certezze.

Non è stato un caso, sapete, anche se il caos regna sovrano sul mondo e tutto si muove in modo afinalistico privo di qualsiasi ordine e morale. Tutto questo non è avvenuto senza motivo, anche se i meccanismi della replicazione cellulare di un virus come me sono del tutto casuali, così com’è casuale la disposizione delle mattonelle della vita, dei frammenti genetici che ci fanno stare in piedi (per modo di dire, s’intende).

Una forza invisibile mi ha condotto in mezzo a voi, a seminare terrore, e il terrore è cieco fa molte più vittime di quanto facciano le mie ondate che pure sono micidiali. Il terrore scoperchia paure ataviche, istinti

inconfessabili, moti d’animo repressi e pronti a esplodere in qualsiasi momento.

Il terrore, eppure, non è il solo sentimento che è esploso a seguito della mia invasione massiccia e irrefrenabile. Grazie alla forza che mi ha spinto in mezzo a voi umani, quel terrore ha cominciato a cedere il passo alla coscienza che tanti avevano perduto. Tanti, anzi tantissimi, si sono riconosciuti fragili e piccoli, molto più di me, si sono resi conto di come tutto, da un momento all’altro, può finire esattamente come in un sogno.

Così quei tanti, anzi tantissimi, hanno cominciato ad apprezzare i colori, i suoni, le forme della vita che sfuggivano loro da troppo tempo. Senza potersi baciare, stringersi le mani, abbracciarsi, si son arrampicati su balconi e terrazze, hanno cantato e urlato a squarciagola e, in quel preciso momento, si sono sentiti molto più vicini ai loro fratelli rispetto a prima.

E poi, squadroni bianchi di gente mascherata e guantata, nei loro occhi il luccichio inconfondibile della speranza, si sono riversati in case, ospedali, ricoveri per assistere i più sfortunati. Tra i malati, qualcuno ha perfino ceduto il suo respiratore a un altro più giovane, consegnandosi alla morte con gioia.

Dinanzi a tutto questo, io, piccolo virus convinto d’aver compiuto solo il mio dovere di parassita obbligato, sono rimasto francamente sconcertato. Senza volerlo, avevo contribuito a un miracolo di cui avrebbero parlato a lungo gli stessi umani tra i quali avevo portato tutto quello scompiglio.

E’ stato così che anch’io, come tanti, anzi tantissimi, ho aperto gli occhi e ho visto finalmente quel che dovevo vedere.

Nulla avviene per caso. Se lo capisce perfino un piccolo virus come me, minuscola virgola dell’universo, figuriamoci voi umani, dopo tutti i vostri millenni di evoluzione.

Non voglio presumere troppo ma, dopo che avrò fatto ritorno tra le stelle, scommetto che, almeno un pochino, sentirete la mia mancanza.