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Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Accuditore”

Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Accuditore”

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di Filippo Cavallaro

Ciccina Circè, dipinta dal Maestro Luigi Ghersi, negli affreschi dell’Istituto di Scienze dell’Università in contrada Papardo, a Messina, ci mostra una donna minuta, ma vigorosa, in piedi, che governa la sua barca tra le onde. Modella fu Mattea, che poi con il passare degli anni, accanto al suo adorato, diventa modello nell’accudirlo. 

Discreta e rispettosa con l’assistito, generosa e previgente nella gestione del tempo e delle attività da fare. Abituata da una vita insieme a vivere da gufo, rispettando i ritmi di chi lavora nel mondo notturno dello spettacolo. 

Assistente innamorata , instancabile perché capace di diversificare il proprio impegno grazie alla letteratura ed al contatto con gli amici tramite il telefono. 

Come Ciccina, Mattea ha dovuto adattarsi alle quotidiane difficoltà senza rinunciare ai valori base: la vita; la bellezza; l’amore.   

Ciccina Circè, femminota, è tra i protagonisti del romanzo Horcynus Orca, scritto da Stefano D’Arrigo, la cui trama si svolge nei primi giorni di ottobre tra Bagnara, Torre Faro e Messina. 

L’altro protagonista è ‘Ndria Cambria, che, al contrario di Ciccina, ha rinunciato alla quotidianità, si trova fermo o controsenso rispetto allo svolgimento della vita. Nell’affresco di Scienze è dipinto accovacciato a testa bassa, seduto a poppa nella barca portata dalla femminota. 

Il romanzo narra la storia del marinaio ’Ndrja Cambrìa, il quale, dopo la resa agli Alleati dell’8 settembre 1943, e lo sbandamento dell’esercito, torna a piedi al suo paese, in Sicilia. A Bagnara, nel momento in cui la Sicilia si faceva più vicina, sente lontana ed impossibile la traversata dello stretto. Trova aiuto. 

’Ndrja viene traghettato da questa femminota, così vengono chiamate le “Bagnarote”, donna dai poteri eccezionali. Grazie a una campanella posta nelle trecce, Ciccina riesce ad ammaliare le pericolose «fere» (delfini) ed a farsi largo tra i cadaveri che, gonfi, affiorano nello stretto.  

Queste donne calabresi, maestre nell’arte di arrangiarsi, erano dedite al contrabbandano di merci da una sponda all’altra dello Stretto di Messina. Loro pensano solo a lottare per superare la giornata, capaci di vivere il momento … lottano, vivono. Questo loro essere esistenzialiste, ma forse è più facile che continuano da millenni ad essere epicuree, le porta a non comprendere i maschi che vanno a fare la guerra, e da militari sono disposti a perdere la vita, ed immolarsi per la patria.

’Ndrja, è “straviato”, già aveva dovuto riadattare la sua esistenza per la guerra, ed ora non riesce a reinserirsi nel nuovo corso, i luoghi e le persone sono stati trasformati dall’esperienza e dal tempo, sono irremediabilmente differenti.  

«Straviate: come gabbiani dirottati sullo scill’e cariddi da qualche tempestona oceanica, che da Gibilterra rintrona nel Canale e fa venire il pellizzone, i brividori di pelle;» recita il romanzo. 

‘Ndria viene accudito, assistito nell’attraversamento dello stretto. Ciccina Circè vara la sua barca, rema nelle acque tumultuose dello stretto, timona e scansa i corpi dei tanti cadaveri, con la campanella ammaestra le “fere”. Lo invita ad essere attivo, presente, propositivo, protagonista … niente, egli continuamente, sempre, si sottrae al divenire della realtà. 

Fuori via, fuori tempo, fuori contesto. 

Molte persone purtroppo possono vivere questa condizione a causa di malattie che modificano il loro corpo ed il suo funzionamento. 

Accadde all’adorato accudito che comiciò con un parkinsonismo, a cui si sovrappose la malattia di Alzheimer in lui lo straviamento è totale, ed è lei, unica, che rispetta con lui una vita da gufo. Per tutti è incomprensibile che la colazione venga servita alle 11 e la cena dopo la mezzanotte, spostando su questi orari anche le terapie da fare in relazione ai pasti. 

Certo che spesso la memoria sostiene la presenza di un corpo che non c’è più, si fa affidamento a strutture e funzioni, perse o modificate a causa della malattia. Il corpo nuovo, quello che presenta le perdite, le demolizioni, la debolezza, è quello giusto che deve essere vitalizzato, vissuto. 

Come Ciccina Circè conduce ed accudisce ‘Ndria, Mattea conduce ed accudisce il suo adorato, egli spesso chiede il giorno, il posto e racconta sempre lo stesso episodio di trenta anni prima, un fatto che resta sospeso, da concludere, egli si trova sequestrato in un circuito chiuso, sempre ripetuto, senza fine. 

L’accuditore, oggi per moda chiamato care giver, è una grande risorsa per la persona disabile, anche se lui non lo sa e forse non lo saprà mai; è una grande risorsa per la comunità ed i servizi sociali e sanitari anche se questi non vorrebbero saperlo.